12 ANNI SCHIAVO (oscar Miglior Film 2014) è il titolo che abbiamo scelto di presentarvi sul tema dei diritti umani.
Il film in verità guarda alla schiavitù da un’angolazione fortemente ambigua che rischia di spettacolarizzare la violenza esibita.
Articolo 4
Nessuno potrà essere tenuto in schiavitù né in servitù; la schiavitù e la tratta degli schiavi sono proibiti in tutte le loro forme.
(Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo)
Stati Uniti, 1841.
Solomon Nortthup, musicista di colore, vive a New York con la sua famiglia ed è un cittadino libero.
Un giorno egli viene ingannato, drogato e venduto come schiavo.
Privo di ogni diritto egli trascorrerà 12 lunghi e atroci anni in cui subirà e vedrà le più inenarrabili scelleratezze dell’animo umano da parte dei suoi padroni.
Solo la conoscenza con un abolizionista canadese gli permetterà di venir fuori da questo incubo e ritornare dai suoi cari.
Steve McQueen torna a raccontarci delle sue ossessioni della carne e della nudità dei corpi su cui si condensano rabbia e frustrazione e sofferenza.
La sua estetica è una cifra stilistica essenziale per comprendere e giustificare – in parte – le sue scelte registiche.
Dopo gli ottimi HUNGER (2008) e SHAME (2011) stavolta si cimenta con un libro e una storia – quella di Solomon Northup – tragicamente e gloriosamente vera.
Se da una parte McQueen si fa carico di una colpa (la schiavitù) e di un peccato originale (quello americano) che dovevano essere raccontati e digeriti; dall’altra sceglie però una via quanto mai ambigua per farlo.
Anzitutto fa l’errore di concentrarsi esclusivamente sul calvario di Solomon scostandosi troppo da quello che è il tessuto storico e sociale dell’epoca. Quello che ne viene fuori è un dipinto di soprusi e aberranti azioni ai danni del protagonista dove c’è una fin troppo netta e ambigua demarcazione tra buoni (i neri schiavi) e cattivi (i bianchi padroni).
In tal senso sarebbe stata necessaria una maggiore caratterizzazione dei personaggi. In particolar modo dei “cattivi” di turno. Tutti grandi attori come Benedict Cumberbatch e Paul Dano e Sarah Paulson su cui spicca l’attore feticcio del regista: Michael Fassbender .
Fassbender è strepitoso nel conferire profondità a un personaggio per molti aspetti bidimensionale. Nei suoi occhi c’è follia e conflitto e desiderio e paura(?), ma ci si chiede da dove vengano queste emozioni. Sono frutto di un’educazione severa? Di un indottrinamento religioso?
Le sue azioni feroci sembrano spesso fini a se stesse. E così buona parte delle crudeltà inflitte da parte dei bianchi ai danni dei neri, spesso non trovano ragioni di esistere.
Altra nota dolente è quindi lo sguardo alla violenza.
Supportato (talvolta sotterrato) da una colonna sonora bella, ma ingombrante ed eccessivamente drammatica (anche quando non serve) 12 ANNI SCHIAVO è di una bellezza disarmante per fotografia e montaggio.
Il mezzo filmico spesso viene utilizzato per sublimare l’orrore e la tristezza, ma in questo caso si rischia di sconfinare nel paradosso: l’abbellimento estetico della violenza.
Niente viene risparmiato allo spettatore. Guardiamo a ripetute violenze e ne saggiamo l’intensità di quel dolore; sentiamo quasi la pelle strapparsi e la carne aprirsi; il sangue e le lacrime e la saliva scivolano copiosamente. Lunghi piani sequenza che non hanno nulla da invidiare a certo cinema di genere come i torture-porn alla SAW o alla HOSTEL.
C’è poi quella scena che pare non avere mai fine in cui Solomon (un sofferto e tragico Chiwetel Eijofor) viene appeso a un albero con un cappio al collo. Egli resta in punta di piedi per non soffocare. La terra sotto le sue scarpe continua a franare. I suoi occhi cercano aiuto e intorno a lui gli altri neri si muovono quasi con indifferenza. Alcuni bambini giocano come se la cosa non li turbasse.
La scena sembra quasi una perfomance di Marina Abramović . La cornice perfetta: il grande albero secolare, il sole nelle prime ore pomeridiane, il rumore delle cicale e le risate dei bambini in lontananza e questa figura al lato destro dello schermo che tenta di sopravvivere, che sulla punta dei piedi sembra danzare con la morte.
Dopo i 12 anni del titolo ecco che nella figura di Brad Pitt (coproduttore del film) arriva la speranza e la possibilità di un cambiamento per il protagonista e per il genere umano. La bianca eccezione a tutto questo male.
Solomon torna a casa per riabbracciare la sua famiglia e la sua libertà.
Per la sua gente in realtà ci vorranno altri 4 anni e una guerra civile e l’arrivo di un presidente, Lincoln, perché la schiavitù venga debellata.