Col termine “DESTINO” ci riferiamo a una serie di eventi inevitabili che accadono secondo un quadro preordinato e soggetto alla necessità che portano quindi a una conseguenza prestabilita.
Sebbene in età moderna termine Destino e Fato siano sovrapponibili, il loro significato è ben diverso giacché il destino dell’uomo ci piace pensare che possa essere modificato dalle scelte che compiamo. Ma è anche vero che siamo tutti destinati alla medesima fine.
Le arti in generale, dalla filosofia alla letteratura, da quelle pittoriche a quelle visive, hanno indagato molto sul concetto di Destino.
In questo speciale di #BLCinema vi faremo riscoprire 3 titoli che trattano questo tema che siamo certi potranno interessare ai più e che guardano al destino di una generazione, di due innamorati e a quello dell’umanità.
Il primo film risale al 1995 e fa parte – assieme a “TOTALLY FUCKED UP (1993) e “ECSTASY GENERATION” – della trilogia conosciuta come “Teenage Apocalypse Trilogy”.
DOOM GENERATION può essere considerato il manifesto della poetica di Gregg Araki.
Potremmo definirlo un road movie atipico, giacché esso si muove per lo più in interni e spazi che da piccoli (l’abitacolo di un’auto) diventano sempre più grandi e inconoscibili (un caseggiato abbandonato).
I tre protagonisti – Blue (un’acerba Rose McGowan sotto un caschetto e una frangetta nera che ricorda la Thurman de LE IENE), White (James Duval che i più ritroveranno in un ruolo chiave di DONNIE DARKO) e Red (il bello e dannato Johnathon Schaech) – sono emblema di una generazione senza via d’uscita in preda a un destino tanto beffardo quanto crudele e imprevedibile.
Un viaggio allucinato che gioca a ridefinire la sessualità e la morale.
Con la sua estetica da videoclip, nella sua imperfezione, resta uno dei film più visionari dell’epoca, un trip emozionale che guarda sia al cinema di Tarantino sia a quello di Lynch, ma anche a quello di Oliver Stone e a un certo hardcore orientale.
Uno sguardo impietoso, grottesco ma sincero su di una generazione allo sbando che non ha una meta e che quindi non può neppure aggiustarlo questo dannato destino , ma è condannata ad un violento schianto.
Ma facciamo un salto in avanti e andiamo negli anni 2000.
In questo anno esce nelle sale (poche a esser sinceri)
LA PRINCIPESSA E IL GUERRIERO ad opera di Tom Tykwer.
I più ricorderanno questo regista per i suoi successi cinematografici – PROFUMO (2006) e CLOUD ATLAS (2012) – ma soprattutto per una delle serie netflix più amate, SENSE 8.
In questo film i nostri eroi sono un principe (un intenso e sensuale Benno Fürmann) che è di fatto un ladro che tenta di salvare se stesso e suo fratello dalla povertà e una principessa ( Franka Potente), una timida e sognante infermiera rinchiusa nel proprio castello, un manicomio dove ella lavora.
Il destino vuole che i due si imbattano più e più volte nel loro cammino finché l’uno diverrà ragione di salvezza per l’altra e viceversa.
Un film che è una fiaba moderna sospesa tra dramma e azione con una splendida fotografia e un montaggio vertiginoso.
Ci sarà un happy end? Non vi resta che lasciarvi trascinare in questa folle corsa in nome dell’amore e delle seconde possibilità.
Se i primi due titoli risentono di una certa estetica da videoclip e sono corse sfrenate verso una fine ignota, il terzo e ultimo film che vi vogliamo presentare è invece l’esatto contrario.
NON LASCIARMI (2010) di Mark Romanek è basato sullo splendido romanzo omonino di Kazuo Ishiguro del 2005.
Con gusto tipicamente nipponico il regista delinea una lenta ma inesorabile danza di morte.
La storia parte tra le mura di un collegio dove seguiamo le vite di tanti ragazzini speciali che vengono educati allo studio della letteratura e all’espressione artistica e allo sport.
Ormai adulti poi essi verranno condotti in piccole fattorie disperse tra le campagne.
Quello che presto verremo a sapere è che essi non sono umani, bensì cloni e come tali destinati a donare i loro organi a chi ne ha bisogno.
Ma i tre protagonisti ( i meravigliosi Carey Mulligan, Andrew Garfield e Keira Knightley) sembrano accettare l’ineluttabilità del loro destino: essi guardano il mare o l’orizzonte come qualcosa di inconoscibile, di irraggiungibile.
Non vi sono recinti o limiti, eppure nessuno pare intenzionato a scappare.
Il bellissimo film guarda con struggente malinconia alla condizione umana sollevando molti quesiti sull’importanza e i limiti morali della scienza e del progresso, sul senso dell’arte, sulla natura dei sentimenti e sul significato della parola “umano”.
Ma soprattutto si sofferma a riflettere sul senso della vita e della morte. Toccante.