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A HIDDEN LIFE: Il grande ritorno di Terrence Malick (recensione)

- 31/05/2020
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[…]; e se a te e a me le cose non vanno così male come sarebbero potute andare, lo dobbiamo anche a coloro che hanno vissuto con fede una vita nascosta, e riposano in tombe dimenticate.

George Eliot

A Hidden Life, titolo dell’ultimo film di Terrence Malick, sembra racchiudere in sé la strana sorte a cui questa meravigliosa opera è destinata. In effetti Malick è una di quelle leggende viventi del cinema le cui opere spesso (soprattutto nel nostro Paese) passano in sordina, riservate e misteriose esattamente come il suo autore. Non è da meno il suo ultimo ed evocativo film, presentato in concorso al Festival di Cannes 2019 e apparentemente non ancora uscito in Italia. Il film sarebbe dovuto uscire sui nostri schermi a partire dal 9 aprile ma a causa della chiusura dei cinema nessun rilascio è ora più disponibile né tanto meno sembra chiara una sua uscita su piattaforme digitali.

Terrence Malick con August Diehl nella sua ultima apparizione pubblica (Cannes 2019)

Un ritorno alla narrazione

Abbandonando l’autoreferenzialità delle sue ultime opere in cui il regista americano sembrava essere caduto, quasi come se non avesse più nulla da dire, Malick in questo suo ultimo film ci propone un ritorno alla narrazione (pur non abbandonando il suo stile ermetico fatto di voci fuori campo, immagini pure e sfuggenti, impresse in grandangolo e uno stile di montaggio frammentario e fugace), raccontandoci la storia vera di Franz Jägerstätter, un uomo dall’incrollabile fede cattolica del villaggio austriaco Sankt Radegund che si rifiuta di giurare fedeltà a Hitler finendo così condannato a morte.

A Hidden Life è stato salutato a Cannes e dalla critica internazionale come uno tra i migliori film di Terrence Malick (e più ingenerale dell’anno scorso) insieme a The Tree of Life e La sottile linea rossa. In effetti esso sembra contenere tutti quegli elementi tematici che hanno reso inconfondibile il suo cinema: il rapporto tra l’uomo e la natura e il suo inserimento all’interno del cosmo forgiato dai quattro elementi naturali (acqua, aria, terra e fuoco), lo scontro della natura con la modernità e la ricerca di quel senso all’esistenza che non può non prescindere da uno stadio naturale della condizione umana.

Come La sottile linea rossa esso è ambientato durante la Seconda Guerra Mondiale, anni in cui il male ha mostrato il suo volto più assoluto, in questo caso nell’Europa nazista. Franz è un contadino cresciuto a stretto contatto con la natura incontaminata del Tirolo seguendo i dettami della religione cattolica con sua moglie e le sue tre figlie, conducendo una vita semplice. Nel 1938, il fatidico anno dell’Anschluss, il Nazismo ovvero il Male, bussa anche alle porte dello sperduto villaggio alpino di Sankt Radegund e tutti gli uomini sono costretti a sottomettersi ad Hitler. Tutti meno Franz, il quale si rifiuta fino in fondo di macchiarsi di qualsiasi male, vedendo in Hitler la personificazione dell’Anticristo.

Trailer italiano del film

A ben vedere il personaggio di Franz è accostabile a quello del soldato Witt de La sottile linea rossa che all’inizio sceglie di disertare per vivere in simbiosi con la natura per poi sacrificarsi per i propri compagni. La ricerca di ciò che è bene sia da parte di Franz che da parte del soldato Witt non può che passare attraverso il sacrificio nel senso più cristiano del termine. Per Witt si tratta della necessità di incamminarsi verso un calvario che dia la redenzione da un lato al male inflitto alla natura e a chi vive in fusione con essa e dall’altro nel caso di Franz nella necessità di intraprendere un percorso interiore di natura cristologica che dia la salvezza ad un’intera Nazione, protesa verso un male totale e senza ritorno attraverso il suo sacrificio. Non a caso i personaggi del soldato Witt e di Franz si pongono le stesse domande sulla natura del male: “Cos’è questa guerra stipata nel cuore della natura? Perché la natura lotta contro se stessa? Cosa è successo al nostro Paese?”

Un’impareggiabile esperienza spirituale e sensoriale

Dal punto di vista fotografico, come tutti i suoi film del resto, A Hidden Life è di una potenza visiva senza pari e per questo la sua visione in una sala cinematografica è rigorosamente necessaria: i grandangoli del direttore della fotografia tedesco Jörg Widmer risaltano grazie ai suoi colori naturali non solo la bellezza e la maestosità della natura altoatesina ma anche i tormenti interiori del protagonista Franz, interpretato dall’attore berlinese August Diehl, con inquadrature dal basso che sembrano riprendere La passione di Giovanna d’Arco di Carl Theodor Dreyer.

Analizzare un film di Malick non è mai semplice per la loro ricchezza di interpretazioni, spunti filosofici e spirituali: tuttavia in ogni sua opera ci sono dei tratti comuni, come il voice over e soprattutto il valore dei quattro elementi, che saltano agli occhi anche ad uno spettatore più distratto. A Hidden life si apre da subito non solo con un riferimento alla terra che instituisce una prima relazione oggettiva tra il protagonista e la sua vita ma anche all’aria, agli ampi spazi del paesaggio alpino che evocano la sua libertà e la sua purezza d’animo, puro come quell’acqua che precipita dal monte a chiusura del film, come se volesse suggellare la sua incorruttibilità davanti al sacrificio, alla morte e all’amore totale per la sua moglie Fani, la quale accetta il dolore con dignità e compostezza avendo compreso fino in fondo la volontà di suo marito.

La scena del sacrificio di Franz

La maniacalità di Terrence Malick, però, non è riferibile soltanto alla fotografia e alla costruzione delle sue molteplici simbologie, ma soprattutto al lato sonoro del film. In ogni suo film il regista americano tende a creare un ambiente naturale quanto più autentico possibile: si dice addirittura che per The New World avesse fatto registrare il suono di circa cento specie di uccelli per ricreare la natura della Virginia di inizio Seicento. Non è da meno in A Hidden Life nel quale la commistione tra musica colta, musica originale, musica popolare e musica concreta concorrono a creare non solo un ambiente quanto più autentico possibile ma soprattutto a sottolineare il carattere sacrale del film, in particolare attraverso brani tratti dall’oratorio biblico di Israele in Egitto del compositore tedesco Georg Friedrich Haendel in cui Malick innalza a sacralità il sacrificio di Franz Jägerstätter e alla Suite ceca del compositore Antonin Dvořák.

Diverso è il discorso per la musica originale composta dall’americano James Newton Howard la quale ha la funzione da un lato di sottolineare in maniera più convenzionale i caratteri narrativi del film, dall’altro quella di porre l’accento sulla semplice vita del protagonista con le sue figlie e con la sua amata moglie. Come ha affermato il compositore per la costruzione della musica originale il regista gli avrebbe recapitato dei suoni registrati realmente durante le riprese come suoni di campane, versi di pecore e falci nei campi e di averli trasformati in musica. Il violino, grande protagonista della musica originale, incarna la simbiosi tra i due protagonisti. Esso infatti è presente in tutte quelle scene, soprattutto iniziali, in cui Franz e sua moglie si trovano insieme.

Come in tutti i film di Malick la musica popolare appare sempre ma essa riveste nella maggior parte dei casi un ruolo molto marginale rispetto alle altre. Essa concorre comunque ad arricchire il film ed alla sua costruzione sonora. In A Hidden Life la musica popolare è anche diegetica (scena della processione) ed essa in un certo senso diventa un tutt’uno con la musica concreta fatta di suoni di campane del villaggio, di mucche e di pecore, di aria, di acqua e di vento e in seguito anche di prigioni naziste.

Nonostante il film non sia scevro da lungaggini e pesantezze (Terrence Malick nel suo precedente Song to Song è riuscito a mettere a dura prova anche i suoi discepoli più fedeli) esso è proprio nella contemplazione e nella spiritualità che ristabilisce la sua misura. Esattamente come la giungla di Guadalcanal ne La sottile linea rossa o la Virginia di inizio Seicento in The New World, Sankt Radegund non è altro che una grande oasi di pace sconvolta dal male/progresso da cui i protagonisti, seppur impossibilitati a difendersi, ne usciranno vincitori attraverso il sacrificio.

Senza avventurarci negli spazi metafisici ed apparentemente privi di logica delle sue ultime opere è proprio con questo genere di storie che il cinema di Malick emoziona e spicca il volo tornando nel suo terreno di predilezione sospeso tra dramma storico ed esaltazione della bellezza della natura, riconciliando così i fan della sua prima produzione cinematografica e con quella più recente.

Un (quasi) capolavoro da non perdere.

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