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ANIMALI NOTTURNI (2016)

- 25/05/2018


Susan ha tutto nella vita.
Lavora in una galleria d’arte, vive in una bellissima villa, ha un marito affascinante e una bella figlia.
Ma a grattare via la superficie non è tutto oro ciò che luccica.
Susan è insoddisfatta ed è triste. A stento sente la figlia, ha perso entusiasmo per il suo lavoro e il marito non è mai presente e forse la tradisce.
Ed ecco che un giorno riceve un pacco: contiene la bozza di un romanzo – Animali Notturni – scritto dal suo ex marito, Edward, con cui non ha più rapporti da tantissimi anni.
Lei inizia a leggere il manoscritto che si apre con una dedica “per Susan” – un thriller che si addentra in una notte delle più nere tra desolati paesaggi del Texas – e ne resta sconvolta e turbata, al punto da ricordare chi fosse per lei quell’uomo che un tempo aveva tanto amato e che lei aveva ferito in tutte le maniere possibili in cui una donna può ferire un uomo innamorato…

Tom Ford, sette anni dopo quel capolavoro che è stato “A SINGLE MAN” (2009) e che raccolse applausi dal pubblico e infiniti premi dalla critica, torna alla regia con un film apparentemente diversissimo ma altrettato magnifico.

Ispirato dal romanzo noir “Tony e Susan” di Austin Wright, Tom Ford scrive una sceneggiatura dal taglio perfetto e impeccabile, come fosse uno dei suoi abiti.
Autore e narratore, il regista ci regala una diabolica messa in scena di una tragedia coniugale, in cui i ruoli della vittima e del carnefice sono intercambiabili.
Susan ( una sempre più brava e magnetica Amy Adams ) è l’emblema di una società – la nostra – che ricerca una bellezza fine a se stessa. La sua vita di apparenze ruota attorno a un mondo di opere artistiche il cui forzato significato filosofeggiante o sarcastico è solo un pettegolezzo tra un bicchiere di buon vino e una tartina di paté che riempiono soltanto gli occhi per un fugace attimo, distraendola dalla sonnolenta e noiosa e vuota esistenza di tutti i giorni.
L’arte di Edward invece ( un grandioso e sofferto Jack Gyllenhaal ) è scrittura catartica, viva e feroce.
Se da una parte essa permette allo scrittore di sublimare il dolore della perdita e la sconfitta come uomo e come marito; dall’altra offre nuova linfa vitale o la taciuta quanto studiata possibilità di vendetta.
Perché la carta può ferire e può tagliare così come le parole possono affondare nella carne e far male più di una lama nel costato.

Questo thriller dai ricami narrativi accurati ( in cui l’orrore esibito è ancora più crudele e inaspettato nella geometrica bellezza della cornice ) ha non pochi punti in comune con la precendete opera del regista.
Anche qui tema portante è la solitudine e l’elaborazione della perdita.
Se nel precendente titolo da questi temi negativi scaturiva un messaggio positivo ( vivere la propria vita nella sua interezza, con passione e dedizione, assaporandone ogni attimo come fosse l’ultimo ) e si sollevava dal basso fino a toccare momenti di pura poesia; qui, a gravare su tutto è la colpa ( di chi non sa apprezzare quanto gli viene donato o di chi ha timore ad abbracciare la felicità ) e Tom Ford ci va a colpire in piena faccia in un viaggio inverso che dall’alto ci fa sprofondare in un vero e proprio inferno , senza assoluzione o perdono.

Un film potente in cui ogni singolo elemento – dal cast al montaggio, dalla colonna sonora alla fotografia – diventa accessorio essenziale.
Resta nella mente per giorni e ancora di più sul cuore, come un macigno.

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Ossessionato dal trovare delle costanti nelle incostanze degli intenti di noi esseri umani, quando non mi trovo a contemplare le stelle, mi piace perdermi dentro a un film o a una canzone.

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