Caro William Shakespeare,
ho 14 anni e sono frocio come te. Volevo essere un artista frocio come Leonardo o Michelangelo, ma mi piace Francis Bacon più di tutti. Leggo Allen Ginsberg e Rimbaud; mi piace Čajkovskij. Se farò dei film li voglio fare come Ėjzenštejn, Murnau, Pasolini, Visconti.
Con affetto,
Derek Jarman
Sin dalla sua nascita, con modalità molto diverse dettate dai costumi delle diverse epoche, il cinema si è sempre occupato di omosessualità.
Basti pensare che nei primi anni del Novecento, in piena Belle Époque, e ciò che colpisce di più anche in territorio americano, la rappresentazione artistica dell’omosessualità era molto meno scandalosa di ciò che pensiamo, a patto che alcuni “standard” venissero rispettati; infatti, ad esempio in ambito cinematografico, le interazioni sessuali tra persone dello stesso sesso erano relegate ai cosiddetti Freaks, letteralmente “fenomeni da baraccone”, ovvero uomini e donne bizzarri, completamente fuori dagli schemi, deformi, nani, travestiti, confinati in un contesto sociale ben definito, come l’esibizione nei circhi. A tal proposito vedasi Freaks di Ted Browning del 1932.
La situazione in Europa: una graduale apertura
Almeno fino all’avvento dei grandi totalitarismi europei è stato sicuramente il cinema espressionista tedesco a parlare più apertamente di omosessualità, grazie al liberale clima politico della Germania della Repubblica di Weimar negli anni Venti.
In quegli anni Berlino si trasformò nella capitale mondiale della cultura queer, con la nascita del primo gay village. In Germania venne inoltre prodotto nel 1931 il primo film a tematica apertamente lesbo, Ragazze in uniforme di Leontine Sagan. La visione del musical capolavoro Cabaret di Bob Fosse del 1972 offre un ampio spaccato sulla libertà sessuale nella Berlino degli anni Venti.
Con l’avvento del nazismo che portò con sé anni di persecuzioni nei confronti delle persone omosessuali, anche ai danni dei propri gerarchi in particolare delle SA (si veda La caduta degli dei di Luchino Visconti del 1969), si chiuse in Germania un lungo periodo di libertà che sarà ripreso solo a partire dalla fine degli anni Sessanta con la depenalizzazione dell’omosessualità e il cinema di Rainer Werner Fassbinder, incentrato non sull’amore ma sui meccanismi di potere che si innescano tra le relazioni sessuali, sia tra omosessuali che tra eterosessuali (Il diritto del più forte, 1975, Il matrimonio di Maria Braun, 1979)
Il cinema omosessuale in Italia
L’Italia, nel corso degli anni, ha sempre dovuto fare i conti con la presenza ingombrante della chiesa cattolica che ha enormemente condizionato (e tutt’ora continua a farlo) la sua società e la sua politica. Benché il cinema italiano si sia aperto tardi a tali tematiche ci ha la lasciato memorabili capolavori, molte volte osteggiati dalla censura democristiana come la Trilogia tedesca di Luchino Visconti composta dal già citato La caduta degli dei, sul quale la censura si accanì vietandolo ai minori di anni 18 (lo è tutt’ora), il celeberrimo Morte a Venezia, storia di un innamoramento tra un anziano compositore e un giovane polacco dalla bellezza efebica e del Ludwig, un mastodontico film di quattro ore concepito come un dramma romantico wagneriano sulla breve e tormentata esistenza di Ludwig II Wittelsbach, ultimo re di Baviera, contrastatissimo per molti anni.
Da ricordare inoltre l’impronta fortemente omoerotica della maggior parte del cinema di Pier Paolo Pasolini, i film della Trilogia della vita in particolare, ed opere di rilievo come Una giornata particolare di Ettore Scola e il recente cinema del regista italo – turco Ferzan Ozpetek.
Probabilmente nel cinema contemporaneo europeo soltanto la Spagna e l’Inghilterra hanno dato prova di saper sfornare dei veri e propri capisaldi della cinematografia gay, i quali, nonostante molti problemi di censura in alcuni Paesi, hanno travalicato il tempo confermandosi ancora oggi come uniche ed inimitabili icone. Gli eccessi e l’estrema libertà dei personaggi di Pedro Almodòvar nelle sue pellicole degli anni Ottanta nascono da un lato come reazione ai quasi quarant’anni di dittatura fascista nel Paese iberico, dall’altro come avversione alla cultura cattolica, all’epoca dominante in Spagna almeno quanto in Italia.
In Inghilterra, il regista Derek Jarman fu considerato un artista a tutto tondo. La sua arte non nacque come reazione ad un modello imposto come fu per Almodòvar ma piuttosto indagò l’omosessualità dal punto di vista filosofico ed artistico attraverso le vicende di artisti, personaggi storici e filosofi omosessuali ricorrendo ad uno stile minimalista e decostruttivista. È il caso di Edoardo II del 1990, Caravaggio del 1986 e Wittgenstein del 1993.
La situazione in America tra pesanti censure e contraddizioni odierne
Se da un lato il cinema americano è stato colui che prima di ogni altro ha mostrato un bacio tra persone dello stesso sesso nel film Marocco con Marlene Dietrich del 1930, è anche vero che è stato colui che ha maggiormente stereotipato ed attaccato la figura della persona omosessuale, arrivando addirittura molte volte a rappresentarlo come un disturbato mentale e un assassino.
In particolare, a partire dal 1930 il cosiddetto Codice Hayes, specificava ciò che era moralmente accettabile e ciò che non lo era per la cultura puritana americana negli anni della Grande Depressione. Basti pensare che la limitazione alla rappresentazione dell’omosessualità rientrava soltanto in uno dei numerosi punti del Codice, a cui fa riferimento in particolare alla “non rappresentazione delle perversioni sessuali – in cui l’omosessualità rientrava – e le allusioni alle malattie veneree”.
Altri punti che il Codice Hayes proibiva fu l’uso di droghe, la rappresentazione del nudo, la ridicolizzazione della religione, l’adulterio, comportamenti devianti, le relazioni tra bianchi e neri ed ogni tipo di volgarità.
Tuttavia non bisogna pensare che tutti gli elementi “scandalistici” scomparvero come per magia dal cinema americano. Al contrario, essi venivano soltanto suggeriti allo spettatore. Ad esempio nel famosissimo film di Alfred Hitchcock Nodo alla gola del 1948, passato alla storia per essere stato il primo film ad essere girato in un (falso) piano sequenza, i due protagonisti, studenti universitari, sono chiaramente gay, anche se non apertamente specificato.
Sebbene negli anni la stretta del Codice Hayes si sia via via allentata fino al definitivo abbandono nel 1967, l’atteggiamento degli americani non è mai sostanzialmente cambiato; anzi, era praticamente impossibile per un regista o un attore omosessuale dichiarato farsi strada nell’intricata industria hollywoodiana. Come per il regista George Cukor,”il regista delle donne”, che riuscì a conquistare otto premi Oscar con My Fair Lady nel 1964, a cui durante le interviste non fu mai “estorto” un coming out.
Nemmeno con l’entrata in scena di nuovi attori come Marlon Brando e James Dean, portatori di istanze molto meno maschiliste dei predecessori con i loro personaggi tormentati, cambiò la mentalità e neppure con l’avvento di nuovi registi indipendenti. È il caso di Stanley Kubrick che, in una scena di Spartacus del 1960, scandalizzò l’America intera con una scena di seduzione omosessuale, sfacciatamente mostrata sul grande schermo, tra il patrizio Crasso ed un suo schiavo. Tale sequenza venne interamente tagliata dalla censura senza che Kubrick potesse intervenire.
Tale episodio lo convinse ad emigrare e fare cinema per “gli evoluti europei”, come affermato da lui stesso.
Malgrado le prime battaglie del movimento LGBT contemporaneo nato proprio negli Stati Uniti dai Moti di Stonewall nel 1969, la rappresentazione hollywoodiana restò sempre improntata su un certo maschilismo di fondo. Esso subì addirittura un’impennata durante gli anni Ottanta a causa delle politiche reazionarie di Ronald Reagan. Bisognerà aspettare la prima metà degli anni Novanta con film come Philadelphia incentrato sul problema dell’AIDS ad offrire un’immagine più realistica degli omosessuali ed anche una spassosissima commedia dal titolo In & Out che si fa beffe dei pregiudizi e del maschilismo della società americana.
Anche dopo le aperture degli anni Novanta gli americani hanno sempre tenuto un atteggiamento contraddittorio sull’argomento: la critica non ha perdonato Oliver Stone per il suo Alexander nel 2005 a causa di un ritratto “sessualmente inedito” di Alessandro Magno ma ha beatificato a priori l’anno successivo con tre premi Oscar I segreti di Brokeback Mountain di Ang Lee. Il primo film a tematica gay a vincere l’Oscar per il miglior film è stato Moonlight di Barry Jenkins nel 2017.
In trepidante attesa per Portrait de la jeune fille en feu, storia d’amore tra due donne nella Francia del XVIII, presentato quest’anno a Cannes da Céline Sciamma. Ancora non disponibile l’uscita italiana.