“Il suo apice è avvenuto prima dell’edonistico “I Feel Love di Donna Summer e dell’inno discoteca sex-positive di Cher “Take Me Home”, quasi un decennio prima dell’inno sulla masturbazione di Cyndi Lauper “She Bop”, e 15 anni prima dell’Erotica di Madonna.”
Così, ieri, la giornalista Angelica Frey dell’autorevole quotidiano britannico The Guardian ha omaggiato lo scorso mese di novembre la Regina della Tv italiana Raffaella Carrà, innalzandola agli onori dell‘icona internazionale citando le sue più importanti trasmissioni e canzoni. Un simbolo di autodeterminazione, avanguardia e modernità che, prima di tutte, ha saputo provocare, coinvolgere, divertire, conturbare anche nei decenni più bui della nostra storia repubblicana.
Le occasioni per celebrare la Carrà non mancano mai (basterebbe dare un’occhiata alla sua pagina wikipedia per beccare un anniversario a caso meritevole di essere celebrato), ma ad aver colpito l’attenzione del Guardian è stato il tour promozionale nei festival cinematografici del vecchio continente di “Explota Explota” (traduzione di Scoppia scoppia! e titolo spagnolo di A far l’amore comincia tu), commedia musicale distribuita in Italia col titolo di Ballo ballo (qui la nostra recensione) su Prime Video diretta dal regista uruguayano Nacho Álvarez, ispirata alle hit internazionali della nostra Raffaella che in molti hanno già accostato all’iconico “Mamma mia!”
D’altronde, come dice la Frey, “Dove la Svezia aveva gli Abba, l’Italia aveva Carrà“.
“Explota explota“, ambientato in Spagna all’indomani della morte del generale Franco, racconta la storia di Maria, una dipendente dell’aeroporto di Madrid che, durante una consegna in uno studio televisivo, viene catturata dal ritmo di “Bailo bailo“. Notata da Chimo, il direttore del varietà, colpito perché “Nessun ballerino con sangue che scorre nelle vene può resistere a questo ritmo“, comincia un percorso in ascesa nel mondo dello spettacolo sulle note delle canzoni più belle della grande Raffaella.
Un ombelico diventato leggenda
Figlia del ’68, appartenente ad una generazione di giovani cresciuti con l’impeto della protesta e la voglia di abbandono dei costumi borghesi, “la Carrà viaggiò in America, dove vide il musical Hair ogni sera per un mese. Tornò a casa con la convinzione che l’intrattenimento italiano avesse bisogno di una scossa di energia“. E il suo ombelico, i ritmi intriganti e forsennati delle sue hit l’hanno resa leggenda, portando in Italia un po’ di Broadway e contaminando il varietà italiano con danze e canti sui generis, rivolgendosi ad un pubblico trasversale. La stessa Carrà disse nel 1974: “Non traggo ispirazione da nessuno: parlo ai bambini, ai papà che guardano gli sport, alle mogli, quindi all’italiano che guarda la TV, le famiglie.“
“Ha cantato e ballato i titoli di testa [degli spettacoli di varietà del sabato sera], la fanfara di “Ma Che Musica Maestro” aggiunge il Guardian, “indossando un set in due pezzi completo di un crop top – la prima volta che qualcuno aveva osato esporre il proprio ombelico sulla TV nazionale. Il Vaticano e la direzione conservatrice della RAI rimasero scandalizzati“.
Lo scandalo dell’ombelico di “Ma che musica maestro” fu solo l’inizio di un’ascesa memorabile. L’anno successivo, insieme al ballerino Enzo Paolo Turchi, osò sfidare l’inosabile con la canzone “di stampo jazz” Tuca Tuca, “questo stranissimo ballo che faccio con te” in cui ci si toccava a vicenda e si ammetteva candidamente “Ti voglio“, “sembra incredibile ma sono cotta di te“. Un inno al piacere sessuale senza rimorsi.
Nonostante le critiche di una dirigenza RAI filocattolica e proibizionista, “il grande pubblico era felice di vedere coreografie che non richiedevano molta competenza“, tanto che i censori se ne fecero una ragione all’ennesima replica, “quando la star del cinema italiano Alberto Sordi salvò la situazione, chiedendo che, alla sua apparizione su Canzonissima, ripristinassero il ballo“, e scrivendo una pagina indimenticabile di spettacolo.
Fu una consacrazione unanime di pubblico, che consegnò la Carrà alla storia della tv, del costume e del glamour: top sempre più corti, forme sempre più in vista, trasmissioni sempre più popolari. Continua il Guardian: “Indossava tute proto-glam con ritagli, mantelle, strass, piume e vita stretta sormontate da un caschetto biondo che rende il look di Anna Wintour scialbo, ma ciò che la distingueva da altri era una combinazione di sex appeal e accessibilità“. Così facendo si attirò la simpatia delle femministe dell’epoca, insegnando alle donne “che avere il libero arbitrio in camera da letto non era scandaloso – “A far l’amore comincia tu” invitava le donne ad avere spirito d’iniziativa anche sotto le coperte – “che va bene innamorarsi di un uomo gay – come accade in “Luca“, brano in cui la Carrà racconta di conoscere un uomo che il giorno dopo vede insieme ad un ragazzo biondino e poi sparisce, domandandosi semplicemente “Cosa ti è successo, Luca?” – e che non tutte le relazioni sono esattamente sane” – come in “Forte forte forte“, che racconta di una donna piacevolmente sottomessa sessualmente.
E poi il successo in Spagna, dove la Carrà approda nel 1976 con “La hora de Raffaella“, varietà trasmesso subito dopo le partite di calcio più seguite. “Il suo impatto sulla cultura pop spagnola è stato così grande”, specifica il Guardian, “che nel 2018 il re di Spagna l’ha nominata dama, “al orden del mérito civil”, per essere “un’icona di libertà”“.
Dopo la parentesi spagnola, Raffaella torna in Italia nel bel mezzo degli anni di piombo e con “Tanti auguri” cerca di far dimenticare agli italiani gli orrori della lotta senza quartiere esaltando le doti amatorie del bel paese da Trieste in giù. “Riuscite a immaginare una donna bionda che canta questa canzone ad alta voce alle 20:30 sulla televisione italiana con 30 milioni di persone che guardano?”, chiosa la testata britannica riportando le parole di Francesco Vezzoli. “È un atto così innovativo e liberatorio! Immaginate tutte quelle donne alla periferia di Roma o in provincia di Brescia che pensavano che fare l’amore fosse un atto che potevano compiere solo con i loro mariti in modo molto infelice ”.
Accadde in quegli anni, tra le provocazioni di “Ma Che Sera” vestita in abito da suora sexy e l’uscita del già citato “Luca”, in cui “parlava di omosessualità in modo così pratico e leggero che era inaudito nell’Italia cattolica, repressa e avvinghiata di perle“, che la Carrà diventò un’icona gay internazionale, “al punto che le è stato conferito il premio World Pride 2017 a Madrid“.
Nel 2021, a più di 50 anni dalla sua prima Canzonissima, le preghiere laiche della Carrà assunte a mantra camp rappresentano “un prodotto della TV italiana degli anni ’70, ma non sono reliquie del passato: gli italiani conoscono ancora i testi a memoria e li cantano non appena si presenta l’occasione” precisa il Guardian. “Oggi sollecitare il piacere del sesso sembra abbastanza semplice.” chiude la rivista “Ma [la Carrà] è stata una pioniera che ha aiutato le persone a vivere vite più appaganti, usando ritmi a cui nessuno può resistere con il sangue nelle vene.”
Leggi l’articolo originale su The Guardian a questo link.
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