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Dieci sigle da ricordare per dieci serie tv

- 23/09/2018


Cari affezionati delle sigle della domenica, oggi è un giorno speciale.

Per la prima volta nella storia di questa seguitissima rubrica, la sigla in oggetto non sarà una. Saranno dieci!

Mentre mi lambiccavo su quale sigla proporre, ho pensato a tutte quelle serie tv che pur non essendo particolarmente seguite, o che interessano a una nicchia di spettatori su piattaforme on demand, possono vantare degli “opening credits” di tutto rispetto, resi iconici da un certo tipo di immagini e brani evocativi, o composizioni ad hoc che restano senza dubbio impresse.

Spesso gli opening credits delle serie tv sono così ben fatti che cliccare su “salta intro” è l’ultimo dei nostri pensieri, li consideriamo un irrinunciabile momento di preparazione all’episodio che stiamo per vedere.

Alle volte introducono la sinossi del telefilm in maniera didascalica e semplice, in altri casi sono caratterizzati da effetti visivi contrastanti, immagini forti, chiavi di lettura originali. Devono stupire, creare feeling, aumentare hype e aspettative e accompagnare lo spettatore nella visione di qualcosa di appassionante e unico. Un’esperienza visiva ed emozionale senza precedenti.

Siete pronti ad una sessione di binge-watching di sigle? Allora via!

Nip/Tuck

Serie ideata da Ryan Murphy andata in onda tra il 2003 e il 2010, trasmessa con molto successo anche in chiaro su Italia1. Molti di voi ricorderanno sicuramente la carica erotica dei due chirurghi estetici, Christian Troy e Sean McNamara, i loro casi di studio borderline e la crudezza delle immagini che indugiavano nei dettagli più disturbanti degli interventi; magari a molti meno verrà in mente la sigla di questo bizzarro telefilm, il cui titolo era “A perfect lie”. Manichini bianchi ricostruiti in 3D, un pennarello rosso che traccia il segno in cui il bisturi andrà a incidere. Un’anima perfetta, un viso perfetto. Una bugia perfetta. Il brano è interpretato da “The Engine room

House of Cards

Nubi minacciose coprono il cielo di Washington. La luce lascia spazio alle tenebre, l’ombra invade palazzi, strade e monumenti. Cala la sera. La musica incalza. Mentre il traffico scorre e la luna si leva nel cielo, immagini sempre più nitide ci accompagnano lì dove tutti i destini si compiranno: la Casa Bianca.
La sigla di House of Cards, composta dal genio musicale di Jeff Beal, è ispirata all’astuzia e alla determinazione di Frank Underwood (Kevin Spacey) nella sua scalata inesorabile al potere. A novembre andrà in onda la sesta e ultima stagione, che vedrà come protagonista Robin Wright.

Versailles

I’m the king of my own land / Facing tempests of dust, I’ll fight until the end / creatures of my dreams, raise up and dance with me / Now and forever / I’m your king“.
Dicono davvero tutto di “Versailles” le quattro righe del testo di “Outro”, brano del 2011 del gruppo dreampop francese degli M83. Questa serie, una coproduzione anglofrancese in tre stagioni (l’ultima delle quali è andata in onda proprio pochi mesi fa su Canal+ e BBC e disponibile su Netflix), racconta le gesta di Luigi XIV, il Re Sole, che volle assoggettare a sé tutta la nobiltà francese nella tenuta di campagna di Versailles, poi resa una magnifica reggia che esaltava l’immagine della monarchia, per accentrare tutto il suo potere e renderlo inscalfibile agli occhi degli uomini e di Dio. Favoloso il contrasto tra l’ambientazione del 1600 e il sound moderno della sigla.

The young Pope

Tra le serie italiane degli ultimi anni è senz’altro quella che ha fatto più discutere. Andata in onda nel 2016 e ideata dal Premio Oscar Paolo Sorrentino, narra la storia di Lenny Belardo, primo Papa americano della storia, e della sua controversa elezione al soglio pontificio come Pio XIII. Belardo è un papa anticonvenzionale eppure fortemente conservatore. Un comunicatore abile e sfuggente, un riferimento spirituale ben poco rassicurante. Durante la sigla la sua figura affascinante e affusolata, divinamente illuminata, attraversa la sala di una galleria d’arte. Accompagnato da una sfavillante cometa passa in rassegna alcuni dei momenti più importanti della storia della cristianità, resi immortali da dipinti conosciuti in tutto il mondo: “La consegna delle chiavi del Perugino”, la “Conversione di San Paolo” del Caravaggio, il “Massacro di Saint Barthelemy” di Dubois (solo per citarne alcuni) fino alla “Nona ora” di Maurizio Cattelan, in cui la cometa, ormai fumante meteorita, abbatte Giovanni Paolo II per fare spazio ad una nuova icona della cristianità: Belardo, appunto. La canzone in sottofondo è “All Along the Watchtower” di Bob Dylan nella versione dei Devlin.

The Young Pope (Opening) 1080p from Matte on Vimeo.

Sense8

Gli opening credits della serie delle sorelle Wachowski sono articolati e complessi tanto quanto la serie stessa, e frutto di un intenso e meticoloso lavoro di montaggio. La forza di questa sigla è sì il tema, composto da Tom Tykwer e Johnny Klimek, un ipnotico climax crescente di archi e percussioni, ma ciò che colpisce è la baraonda di immagini e colori di immagini dei paesi dei sensate protagonisti che si avvicendano a ritmo di musica: Messico, Kenya, Corea del Sud, Stati Uniti, Islanda, Germania, Inghilterra, India. Riusciamo a distinguere la cascata di Gullfoss in Islanda, un uomo nella lavanderia di Mumbai, l’arco della rivoluzione di Città del Messico, il Buddha gigante di Seoul, il Golden Gate di S Francisco, le piantagioni del tè di Nairobi, il Pride di S. Francisco. I “frammenti” sono più di cento, e raccontano la cultura dei luoghi, il paesaggio, la cucina. Ad occuparsi di catturare questi fotogrammi durante le riprese è stata Karin Winslow, moglie di Lana Wachowski. Potete trovare un approfondimento qui.

Flesh and bone

È una miniserie tv sul mondo della danza classica creata da Moira Walley-Beckett nel 2015 per il canale via cavo Starz, e disponibile in Italia su Prime Video. Tra i protagonisti, diversi danzatori professionisti hanno prestato il (bellissimo) corpo e la propria arte a servizio di una regia attenta ai dettagli e alla fisicità di ogni singolo attore. La sigla è una vera opera d’arte: la coreana Karen O propone una sua versione di “Obsession”, che rese celebre negli anni ’80 la band degli Animotion. La sinuosa melodia fa da colonna sonora alla danza di carne e ossa dei ballerini, che perennemente in bilico tra sacro e profano anelano all’ideale assoluto e diabolico di perfezione estetica.

The man in the high castle

È una delle serialità di maggior successo di Amazon Video (e tra poche settimane sarà disponibile la terza stagione), ispirata al romanzo “La svastica sul sole” di Philip K. Dick. La serie racconta di un mondo distopico in cui la vittoria della seconda guerra mondiale è andata all’alleanza nipponazista guidata da Adolf Hitler, alla quale è conseguita la divisione in due parti degli Stati Uniti America: il Grande Reich Nazista (a oriente) e gli Stati Giapponesi del Pacifico (a occidente). La sigla è ricca di simbolismi e fa uso dello strumento delle proiezioni (di grande importanza anche nella serie) per sovrapporre una realtà fittizia al mondo conosciuto. E così dai bombardieri aerei cadono soldati come lacrime dei presidenti scolpiti sul monte Rushmore, e sull’aquila dalla testa bianca, simbolo nazionale degli Stati Uniti, si proietta l’aquila nera del Reich. Simbolismi inquietanti di uno scenario fortunatamente irrealistico. La canzone è “Edelweiss”, canto patriottico, nella versione dolente e malinconica di Jeanette Olsson.

The Man in the High Castle Intro Credits from Chris Rowe on Vimeo.

The Leftovers

Il creatore di questa bellissima (ed emozionante) serie è Damon Lindelof, l’amato/odiato autore di Lost. Anche in The leftovers” (letteralmente “gli avanzi”) i misteri non mancano, e attraversano le storie tutte le tre stagioni andate in onda tra il 2014 e il 2017 su Sky (prodotte da HBO). Per comprendere meglio lo splendore evocativo della sigla della prima (tristissima) stagione, bisogna conoscere perlomeno la sinossi della serie. The leftovers racconta dei cambiamenti intercorsi nel mondo, e soprattutto nella piccola cittadina americana di Mapleton, tre anni dopo “la dipartita“, ossia la misteriosa e improvvisa sparizione del 2% della popolazione mondiale. La prima sigla racconta visivamente questa triste vicenda di separazioni irreversibili in un grande affresco rinascimentale di una chiesa. Sui volti dei protagonisti appaiono raffigurati sentimenti molto forti come il dolore, la paura, l’angoscia. Le immagini sono state create da Garson Yu, mentre la musica, epica, solenne, è di Jenerik Müziği.

Victoria

Le storie dei regnanti sono sempre state una grande fonte d’ispirazione per i produttori delle serie tv: Luigi XIV, Queen Elizabeth, Enrico VIII, ne abbiamo viste (e ne vediamo) di tutti i colori e di tutte le dinastie. Una delle mie preferite è la “regale” (possiamo proprio dirlo) Victoria, serie made in Britain in cui la giovane Jenna Coleman indossa la corona di una delle regine più importanti della storia britannica, tanto da aver dato il nome ad un’era che richiama il suo dominio indiscusso. “Victoria” è una giovane principessa ritrovatasi regina un po’ per caso, a causa della morte prematura di suoi tre zii. La sigla “Hallelujah”, dai toni imponenti e maestosi, è composta da Martin Phipps e cantata dal gruppo musicale delle Mediæval Bæbes. Perfetta per introdurre a dovere lo spettatore al clima ottocentesco dello show e all’evoluzione di Victoria che da giovane ragazza diventa una memorabile regina e imperatrice.

Orange is the new black

Le storie di Piper, Alex, Red e di tutte le galeotte della prigione di Litchfield sono precedute da una sigla amatissima dai fans della serie, che riprende un brano di Regina Spektor, “You’ve got time“, e mette insieme dettagli del viso di vere ex detenute: occhi, sguardi, sorrisi. Durante le riprese della sigla, alle detenute fu chiesto di pensare prima ad un posto che suscitasse loro benessere, poi ad una persona che le avesse fatte ridere e infine a qualcosa che volevano dimenticare. Le immagini della sigla raccontano quindi il bagaglio di sentimenti e sensazioni che accompagna il periodo di detenzione di chi è costretto a vivere dietro le sbarre. L’idea è di Kenji Kohan, autrice della serie.

Vi sono piaciute queste dieci sigle di serie tv? Se volete segnalarne altre, lasciate un commento!

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Sono nato in Puglia, terra di ulivi e mare, e oggi mi divido tra la città Eterna e la città Unica che mi ha visto nascere. La scrittura per me è disciplina, bellezza e cultura, per questo nella vita revisiono testi e mi occupo di editing. Su BL Magazine coordino la linea editoriale e mi occupo di raccontare i diritti umani e i diritti lgbt+ nel mondo... e mi distraggo scrivendo di cultura e spettacolo!

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