…E ORA PARLIAMO DI KEVIN (2011) è un film teso che indaga sulle origini e le ragioni di una violenza che non trova alcuna ragione di essere. Snervante, crudele e sublime.
In ogni storia c’è sempre un prima, un durante e un dopo.
Eva è remissiva, sfuggente con tutti. Pare aver timore di offendere la gente con la sua sola presenza. Accetta in silenzio uno schiaffo da una signora; accetta che le vengano imbrattate le pareti del suo appartamento, dove vive da sola. Eva non protesta. Si cerca un lavoro e va avanti nonostante tutto…
Perché?
Ed ecco che il film inizia a frammentare la narrazione e lo spazio temporale. Assieme a Eva andiamo a rivivere il suo personale inferno di…madre! Già, perché Eva è stata una donna sposata con due figli. Ma il rapporto col figlio maschio, Kevin, è sempre stato ambiguo e in un certo senso sbagliato.
Fin dalla tenera età il bambino piangeva sempre. Crescendo poi è diventato taciturno, poi dispettoso e disobbediente e quindi violento fino al giorno in cui tutto è precipitato.
Lynne Ramsay dirige un film disturbante eppure poetico, tratto dallo sconvolgente romanzo di Lionel Shriver.
Una ballata di morte che indaga uno dei rapporti più importanti e meravigliosi nella vita di ogni essere umano: quello tra madre e figlio.
Tilda Swinton regge quasi da sola l’intero apparato filmico e interpreta un ruolo non facile, fatto di silenzi e gesti trattenuti, di implosioni e momenti di totale sconforto e sconfitta.
Sicuramente una delle sue interpretazioni migliori che ne mostra tutta la grazia e la forza di donna e tutta la versatilità di attrice.
Affiancata da un sempre ottimo e dimesso John C. Reilly, Tilda trova la sua “nemesi” di madre nel giovane e bravissimo Ezra Miller, che i più ricorderanno nei ruoli più amabili di Patrick in “NOI SIAMO INFINITO” (2012) e in quelli di Flash in “JUSTICE LEAGUE” (2017).
…E ORA PARLIAMO DI KEVIN è un film amaro, amarissimo.
Esso raggela le emozioni eppure capace di ferire nella sua calcolata e fredda fotografia contaminata costantemente da un rosso (quello del sangue, della vernice, della marmellata etc.) che preannuncia e poi ricorda una violenza immotivata e imperdonabile.
Una violenza e una colpa che solo una madre, forse, può perdonare o sopportare.
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