HOLE – L’Abisso è un horror di atmosfera di non detti. Un film non esente da difetti che però riesce a inquietare e turbare per la sua durata, capace di trascinare lo spettatore nell’abisso dell’animo umano.
Sarah è una giovane mamma che si trasferisce col figlio Chris in una piccola cittadina della campagna irlandese.
Una serie di eventi – la scoperta di un enorme voragine nel bosco che si estende non lontano dalla sua casa e una vicina tanto folle quanto inquietante – iniziano ad agitarla e farle presagire il peggio.
Una notte il piccolo Chris scompare e Sarah è convinta che sia andato nel bosco e che possa essere precipitato in quel misterioso buco, ma lo ritroverà poi a casa.
Da quel momento però Sarah si convince che il suo bambino non sia più lui…
Il neo regista irlandese Lee Cronin costruisce un horror d’atmosfera che guarda ai classici del passato come “L’INVASIONE DEGLI ULTRACORPI” (1956) e a quelli più recenti come “BABADOOK” (2014).
HOLE – L’Abisso è un film capace di portare lo spettatore a empatizzare da subito con la protagonista (una convincente e credibile Seana Kerslake) e quindi a sentire una minaccia i cui contorni si fanno via via sempre più chiari.
In verità il pregio del film è proprio quello di accumulare tutta una serie di informazioni che non sono mai realmente spiegate o approfondite (come ad esempio la figura dell’ex compagno di Sarah e la cicatrice che lei nasconde sotto la frangetta) e su cui lo spettatore costruisce una propria verità e sue teorie.
La splendida fotografia e una colonna sonora che non ci da tregua aggiungono inquietudine e tengono desta una tensione che non si scioglie mai, neppure nel finale.
Certo, il prodotto non è esente da difetti (di forma e di contenuto) e sicuramente non spicca per originalità, ma ha una propria cifra stilistica, molto personale, che lo rendono in ogni caso diverso dalle solite produzioni cui siamo abituati a vedere al cinema.
Altro pregio di questo HOLE – L’Abisso è quello di tardare il più possibile la scoperta di cosa si nasconda in quella voragine che si apre in fondo al bosco. Esso è da una parte metafora dello sprofondare letteralmente nella follia e nella paranoia, così come simboleggia il mistero della vita stessa, utero da cui prende forma qualcos’altro da noi, ma è anche simbolo di quello spazio inconoscibile dell’altro, di noi stessi.
E sono le zone d’ombra (le immagini sugli specchi così come quelle su di una piccola cinepresa che non ci vengono mostrate, la cicatrice, l’identità del padre del bambino) che lavorano maggiormente sulla nostra fantasia per portarci a chiederci cosa ci rende ciò che siamo, cosa ci identifica.
Ma dall’altra parte il film evidenzia anche l’eterno dilemma dei genitori che guardano con preoccupazione al naturale cambiamento dei propri figli, che possono diventare, da un giorno all’altro, dei perfetti estranei.
Se la soluzione finale e la discesa della protagonista nel buco possa lasciare più dubbi che certezze, rivelandoci qualcosa che di fatto non ci viene spiegato, ma solo mostrato per quello che è; la scena che chiude HOLE – L’Abisso è certamente di rara bellezza (nella composizione, nelle inquadrature che dall’esterno si muovono all’interno, nel significato intrinseco degli elementi di scena) e sottolinea come la certezza di (ri)conoscere davvero chi ci sta accanto non l’avremo forse mai.
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