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Il magico impero di WALT DISNEY

- 26/04/2020


Se puoi sognarlo, puoi farlo.

WALT DISNEY

Il lancio di Disney Plus avvenuto negli ultimi giorni dello scorso mese, proprio in quelli più terribili dell’emergenza Covid-19 qui in Italia, sembra aver dato nuovo interesse intorno ai classici Disney, anche tra gli adulti, peraltro mai del tutto sopita. In effetti tutti noi, chi più chi meno (molti ne sono addirittura ossessionati), abbiamo visto almeno un classico disney: chi non ha mai canticchiato Hakuna Matata in vita sua o sognato davanti al ballo de La Bella e la Bestia? O commosso durante la morte di Musafa ne Il re Leone o durante quella madre di Bambi?

Logo della Walt Disney Company

Oggi la The Walt Disney Company, nota comunemente solo come Disney, è una delle maggiori multinazionali mondiali operanti nella TV e nel cinema.

Basti pensare che case di produzioni storiche come la Century Fox o la Touchstone, o importanti emittenti televisive come l’ABC, fanno tutti parte di questo immenso e “magico” mondo creato quasi 100 anni fa dal grande produttore ed imprenditore americano Walt Disney. In effetti tutti noi abbiamo sentito parlare di Walt Disney e il nostro pensiero ci trasporta subito alle sue magiche creazioni che ci hanno cresciuto e, perché no, formato. Ma in realtà, e aggiungerei paradossalmente, la figura di Walt Disney appare ai più sfuggente, sostituita nella maggior parte dei casi da quel marchio che lui stesso ha creato.

Mentre tutti noi siamo in grado di riconoscere, ad esempio, Alfred Hitchcock come regista, ciò stranamente non vale per Walt Disney. Alcuni ignorano persino il suo viso, eppure è il fondatore di una delle principali multinazionali dell’intrattenimento.

Ma chi era Walt Disney? Un produttore? Un regista? O un imprenditore? In realtà è stato tutto questo e molto di più e in quest’articolo la mia intenzione è proprio quella di tracciare una riscoperta dell’eccezionale attività cinematografica e produttiva di uno dei più grandi esponenti dello Studio System hollywodiano.

La Disney degli anni d’oro

Nato da una famiglia di antichissime origini francesi e inglesi, Walter Elias Disney si accostò da giovanissimo al mondo del cinema, già alla fine degli anni Dieci, desideroso di lavorare con Charlie Chaplin ma senza alcun successo. Fu in questi anni che incontrò l’animatore Ub Iwerks con cui fondò una prima società la Iwerks – Disney Commercial Artist la quale entrò subito in crisi finché una piccola società del Kansas non le commissionò dei piccoli sketch d’animazione pubblicitari per i cinema locali. È proprio in questo periodo che la creatività del giovane Walt spicca il volo, ponendo le basi già per i sui personaggio più famosi come Topolino e il coniglio Oswald.

Ritratto di Walt Disney con Topolino

Tuttavia le sue creazioni, seppur apprezzate, erano molto costose e la sua creatività fu costretta ad arrendersi al fallimento del suo piccolo studio d’animazione nel 1923. Fu proprio in questo anno che insieme a suo fratello, Walt fondò la Disney Brothers Cartoon Studio, nella quale portò a maturazione le sue precedenti intuizioni, come la creazione del personaggio di Topolino nel 1928 e la distribuzione dei suoi  cortometraggi d’animazione da parte della Columbia che portarono nella cassa dello studio notevoli guadagni.

Ciò aprì il suo studio all’uso del Technicolor già nella metà degli anni Trenta, componente essenziale per la produzione del primo lungometraggio d’animazione targato Disney, o meglio il primo classico Disney: Biancaneve e i sette nani.

Uscito alla fine del 1937 Biancaneve e i sette nani richiese a Walt Disney circa tre anni di lavoro per muovere le numerose maestranze da lui dirette, tra cui sei tra registi e animatori, ma il risultato agli occhi dell’epoca fu sorprendente, tanto da spingere persino Sergej Ėjzenštejn a considerarlo come il più grande film mai realizzato. In questo senso Walt Disney sembra incarnare perfettamente quella figura del produttore – imprenditore ed addirittura anche autore, perfettamente inserita nel mondo dello Studio System dell’epoca che ricorda per certi versi quella di David O. Selznick durante il processo creativo di Via col Vento, ovvero una figura quasi eroica, al giorno d’oggi addirittura mitica, in grado di muovere l’immensa macchina del cinema come un direttore dirigerebbe un’orchestra.

Il successo clamoroso di Biancaneve e i sette nani e l’essere a capo di una delle nuove case di produzione più redditizie di anni Trenta gli consentì di realizzare le successive opere non solo in piena autonomia finanziaria ma soprattutto creativa.

Il terzo classico, Fantasia, uscito nel 1940 e oggi considerato uno dei più grandi capolavori della storia del cinema, non ottenne un buon riscontro né di critica né di pubblico a causa del suo sperimentalismo che trovava poco spazio nel mondo cinema classico hollywoodiano. Caratterizzato da un’armonica commistione di musica ed immagini, riflette pienamente la visione cinematografica di Walt Disney.

Nell’immaginario collettivo la sequenza tratta da Lo schiaccianoci di Čajkovskij in cui la musica sottolinea l’alternanza delle quattro stagioni e l’episodio de L’apprendista stregone con il personaggio di Topolino, considerato dai più l’alter ego di Walt Disney. Neppure Bambi, il quinto classico uscito due anni dopo in piena guerra ottenne i favori della critica americana, scagliandosi soprattutto contro l’”umanizzazione” degli animali la quale rischiava di rivelarsi come un velato attacco agli sportivi americani che praticavano la caccia.

Fantasia (1940). L’apprendista stregone

Il fallimento di Bambi, osteggiato dalla politica, aprì per la Disney un decennio di relativo stallo in cui sperimentò la tecnica mista, ovvero animazione e live action, in opere poco incisive come I tre Caballeros del 1944, Bongo e i tre avventurieri del 1947 e Lo scrigno delle sette perle del 1948. Questa relativa mancanza di ispirazione diede, però, un forte impulso all’attività disneyana nel decennio successivo ed è proprio agli anni Cinquanta che risalgono alcune delle fiabe firmate Disney più amate di sempre, come Cenerentola del 1950, Alice nel paese delle meraviglie del 1951, Le avventure di Peter Pan del 1953, Lilli e il vagabondo e La bella addormentata nel bosco usciti rispettivamente nel 1955 e 1959, primi film d’animazione ad essere girati con la tecnica del Cinemascope.

Per quanto la Disney abbia toccato l’apice del successo nel decennio successivo con la produzione di film d’animazione come La spada nella roccia, Il libro della giungla ed un live action Mary Poppins che riuscì a conquistare cinque premi Oscar su tredici candidature, Walt Disney morì nel 1966 favorendo una profonda crisi creativa nell’universo produttivo dello studio d’animazione che si sarebbe protratta fino alla fine degli anni Ottanta.

Dopo la morte di Walt Disney: tra crisi e rinascite

Nessun film uscito tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta, benchè alcuni rilevanti come Gli Aristogatti del 1970, Robin Hood del 1973 e Taron e la pentola magica del 1985 (completamente stroncato alla sua uscita ma ampiamente recuperato oggi), raggiunsero la maturità artistica della produzione dei decenni scorsi.

Fu grazie al nuovo cambio di direzione assunto dalla casa di produzione alla fine degli anni Ottanta, anche mediante nuove e giovanissime leve del mondo dell’animazione come Gary Trousdale e Kirk Wise e alle musiche di Alan Menken, a determinare quella che è passata alla storia come il “Rinascimento della Disney”, ovvero un decennio che va dall’uscita de La sirenetta nel 1989 all’uscita di Tarzan nel 1999 in cui alcune produzioni, prima fra tutte La Bella e la Bestia del 1991, Il re leone del 1994 e Mulan del 1998 superarono in bellezza e complessità quelle degli anni Cinquanta, e in effetti oggi titoli come La Bella e la Bestia e Il re leone rientrano a pieno diritto tra i grandi film della storia del cinema. La Bella e la Bestia in particolare è stato il primo film d’animazione ad ottenere una candidatura agli Oscar come miglior film.

La Bella e La Bestia (1991). Il ballo

Oggi i Walt Disney Animation Studios non detengono più il monopolio del cinema d’animazione, ampiamente superati dalla Pixar con i loro film innovativi non solo dal punto di vista tecnico ma principalmente tematico, come i recentissimi Inside Out e Coco, ma soprattutto dal cinema d’animazione giapponese, come ad esempio dallo Studio Ghibli che ha il suo maggior rappresentante nell’infinita creatività di Hayao Miyazaki, tra l’altro nel suo capolavoro La città incantata, considerato dai critici uno dei migliori film della storia del cinema e vincitore, caso unico nella storia, dell’Orso d’oro al miglior film al Festival internazionale del cinema di Berlino.

Purtroppo oggi Walt Disney Animation Studios sembrano ancorati ad un massiccio e talvolta asettico uso del digitale che distruggono di fatto l’inconfondibile senso di mistero e di fantasia che contraddistinguevano i vecchi classici. Nonostante qualche recentissimo guizzo creativo come Frozen e Zootropolis, le loro nuove produzioni  non sembrano più affascinare come una volta.  

Una delle più celebri scene di Zootropolis (2016)

Ciò che oggi resta non è solo il grande impero creato da Walt Disney dal nulla (con i suoi 26 Oscar vinti è considerato da molti il più grande produttore/cineasta mai esistito) ma soprattutto il suo immaginario che funge da vero punto di congiunzione tra bambini e adulti. In effetti la Disney è proprietaria anche di ben nove parchi a tema sparsi per globo in cui il mondo disneyano si misura direttamente con l’esperienza emotiva e soprattutto tattile del fruitore abbattendo ogni tipo di barriera tra il mondo dei bambini e quello degli adulti. E probabilmente è stato proprio questo il miracolo di Walt Disney, ovvero quello di attraversare tutte le generazioni ed essere per ognuna di esse sempre attuale.

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