Lo dico senza mezzi termini. Questo IL PROCESSO AI CHICAGO 7 è un film che non ho amato e per certi versi ho quasi detestato. Benché racconti di una pagina di Storia, lo fa a mio parere nella maniera più errata possibile conferendo toni da commedia a un racconto che ha ben poco di divertente.
Il processo ad un gruppo di attivisti contro la guerra in Vietnam che sono accusati di aver causato lo scontro tra i manifestanti e la Guardia Nazionale il 28 Agosto 1968 a Chicago.
Aaron Sorkin è sicuramente uno degli sceneggiatori più prolifici e interessanti del nostro secolo. A egli dobbiamo la stesura di piccoli gioielli come CODICE D’ONORE (1992) fino ai successi di titoli come THE SOCIAL NETWORK (2010) o STEVE JOBS (2015). Qui alla sua seconda prova da regista dopo il piacevole MOLLY’S GAME (2017) Sorkin però scivola sul suo stesso ego.
Nelle sue due ore piene riesce nella non facile impresa di delineare con precisione e concisione il carattere di una decina di personaggi e il suo lavoro di scrittura sembra essersi affinato nel tempo tanto da mettere ogni tassello al posto giusto. Senza alcuna sbavatura. Ma nel suo costruire un perfetto mosaico da esibire sulla piattaforma digitale più amata dai giovani, Netflix, qualcosa stona fortemente.
Di fatto IL PROCESSO AI CHICAGO 7 racconta di una storia vera e mette sul piatto resistenza armata, repressioni e uccisioni, un governo oppressivo e il radicato razzismo che serpeggia fuori e dentro le aule processuali. Argomenti estremamente seriosi e indicativi di un problema radicato nella cultura americana che di volta in volta riemerge per ricordarci che tante cose sono cambiate, ma tante ancora sono da cambiare e altre (la libertà di parola, il rispetto delle minoranze etniche) sono da preservare e difendere. Peccato che tutto questo sia stato trattato coi toni di una commedia.
La penna sovversiva e pungente di Sorkin pare quasi minimizzare dove non dovrebbe, tralasciando non pochi punti salienti dei fatti avvenuti a favore di una narrazione più leggera e fantasiosa.
Se nel vedere un film della Marvel l’elemento giocoso o scherzoso possa anche funzionare per allentare la tensione di combattimenti e caduta dei nostri supereroi più amati, qui, questa pressapochezza e questa facile distinzione tra buoni e cattivi è quasi offensiva, a tratti irritante. Un po’ come se Sorkin si fosse messo in piedi sulla cattedra a insegnarci la (sua) Storia, esasperandone i contorni e personaggi e le ragioni e i torti subiti.
E sì la regia è impeccabile così come la direzione del cast. Gli attori sono tutti bravissimi e ben centrati nel loro ruolo: da un inedito Eddie Redmayne a Sacha Baron Cohen, da Frank Langella a John Carroll Lynch, da Joseph Gordon-Levitt a Yahya Abdul-Mateen II fino alle ottime prove attoriali di Jeremy Strong e Mark Rylance.
A loro sono affidati dialoghi e battute taglienti che conferiscono dinamicità a uno script che manca di un reale e univoco punto di vista, facendo sì che IL PROCESSO AI CHICAGO 7 annaspi tra uno stucchevole paternalismo e un non sempre necessario spirito satirico.
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