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IO, DANIEL BLAKE (2016)

- 03/04/2018


Voto 9

Newcastle.
Daniel Blake, uomo simpatico e testardo sulla sessantina, ha lavorato per tutta la vita finché un intervento al cuore lo ha provato a tal punto che i medici curanti lo considerano inabile al lavoro.
Peccato che lo stato non la pensi allo stesso modo e la sua domanda di invalidità (e quindi di un sussidio) venga respinta.
Intanto egli fa la conoscenza di Daisy e dei suoi splendidi figli.
La giovane donna, senza lavoro, è stata costretta a lasciare la sua città natale e vivere in un piccolo e decadente appartamentino, trovandosi sola in un ambiente a lei estraneo.
Tra i due scatterà un’amicizia e una solidarietà che li vedrà affrontare non poche avversità.

Il regista e attivista britannico Ken Loach, figlio di operai, ha dedicato tutta la sua filmografia alla descrizione e alla denuncia delle condizioni dei ceti meno abbienti. Basti pensare a titoli come PIOVONO PIETRE del 1993 o SWEET SIXTEEN del 2002.
Come in molti suoi precedenti lavori pone l’accento già dal titolo sul nome della persona cui andrà a raccontarci. Scelta fatta con cognizione di causa giacché vuole ridare dignità e valore al singolo uomo, alla persona, al cittadino, all’essere umano: perché troppo spesso per il sistema giuridico e politico siamo soltanto numeri, una pratica da sbrigare o un difetto da risolvere o cancellare. E anche in questo lavoro – forse più di altri – a strabordare dallo schermo è un’infinita umanità. Dolorosa. Rabbiosa. Sfiduciata eppure ancora coraggiosa. Amabile. Sofferta. Perdente.

Senza alcun artificio ( che sia musicale o di montaggio ) e grazie a un’ottima sceneggiatura essenziale del fidato Paul Lavarty, il nuovo lavoro di Loach tocca profondamente quella che è la nostra sensibilità e commuove e strazia, fino alle lacrime più cocenti.
Perché il dramma che affrontano i protagonisti di questa vicenda sono così dannatamente attuali da renderci immediatamente partecipi, su tutte quella girata in un Banco alimentare ( scena che ci riporta alla mente le lunghe file che vediamo ogni giorno davanti ai centri adibiti alla distribuzione di cibo delle nostre città ).
E le intepretazioni mai così sincere e credibili di Dave Johns e Haykey Squires conferiscono realtà e forte empatia con lo spettatore: i loro volti e i loro drammi sono quelli di nostra madre, del nostro nonno, di un vicino di casa o di quell’uomo che puntualmente incrociamo per strada. Un film necessario e importante che nel 2016 si è aggiudicato la Palma d’oro al Festival di Cannes e nel 2017 ha vinto il premio come Miglior Film ai Brityish Academ Film Award. Film stra-consigliato!

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Ossessionato dal trovare delle costanti nelle incostanze degli intenti di noi esseri umani, quando non mi trovo a contemplare le stelle, mi piace perdermi dentro a un film o a una canzone.

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