JUDY (2019) guarda agli ultimi mesi di vita di una delle più grandi attrici e interpreti del cinema. Uno sguardo tanto tenero quanto impietoso sulla figura di una diva in rovina che sopravvive a se stessa.
Judy Garland la diva inaffidabile, l’attrice con problemi di alcol e dipendenza da farmaci. Judy la madre senza soldi, senza casa, desiderosa di avere l’affido dei suoi figli. Judy l’artista e la sua ultima tournée a Londra, gli applausi, le cadute e i fantasmi di sempre.
Il biopic di Rupert Goold, ispirato alla piece teatrale “End Of The Rainbow” di Peter Quilter, se da una parte si sofferma sull’anima straziata di una stella del cinema destinata a collassare; dall’altra è una critica senza mezzi termini verso un sistema e un impero (gli Studios di Holywood degli anni ’30) che hanno sì creato un olimpo di vere e proprie divinità del grande schermo, ma a discapito della loro umanità, violentata e triturata.
JUDY si apre proprio sul set di quello che è stato il film che ha consacrato una stella, IL MAGO DI OZ (1939). Ma di quel sentiero di mattoni gialli, circondato da alberi e fiori finti, resta solo l’immagine di una ragazzina che aveva smarrito la strada di casa e che mai più l’avrebbe ritrovata.
Sulla via lastricata di successi e di premi e di denaro e di vizi, Judy Garland non ha trovato figure amiche che sapessero infonderle la sicurezza di cui aveva bisogno e meno che mai l’affetto che lei ha poi ricercato in maniera quasi ossessiva nel pubblico che l’applaudiva.
Se il film per certi versi è didascalico e risente di una certa discontinuità (intenzionale ed emotiva) che perde di intensità proprio nella sua ricerca di un dolore e di un difetto che ha infettato l’esistenza della Garland fin dai suoi primi timidi passi sul set; a conferire solidità e sostanza all’intera opera è l’immensa prova recitativa della sua attrice protagonista.
Renée Zellweger si trasforma letteralmente in Judy Garland: nella gestualità nervosa, nell’andatura incerta, nella postura leggermente ingobbita. Ha lavorato più di un anno perché ne ricalcasse anche il modo di parlare e quindi poi di cantare, donandoci delle performance che resteranno indimenticabili.
Ma più di ogni altra cosa la Zellweger si è vestita dell’anima di Judy Garland, ha fatto proprie quelle cicatrici e quelle ferite aperte, ha sottolineato con naturalezza la paura del fallimento e il desiderio quasi bulimico di amore incondizionato.
JUDY resta quindi un film imperfetto che arde però del ricordo di una delle star più amate di sempre e della bravura indiscussa di un’attrice che, grazie a questo ruolo, non sarà più dimenticata.
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