LE INVISIBILI può definirsi il terzo capitolo di una trilogia ideale firmata dal regista francese che guarda alla dignità dell’essere umano, alla resilienza e alla ribellione verso un sistema che ignora i diritti del cittadino.
In un piccolo centro di accoglienza diurno situato nel nord della Francia un gruppo di donne senza fissa dimora si ritrovano per ritrovare un po’ di umanità: una doccia, un buon caffè, un letto dove riposare.
Questo finché Audrey e Manu, le due donne che dirigono con diligenza e amore il centro, non ricevono lo sfratto.
I fondi sono sospesi dal perché insufficiente il tasso di reinserimento nella società e la municipalità non è intenzionata a investire dove non vi sono risultati.
Ma le due donne non si arrenderanno e clandestinamente attueranno una sorta di laboratorio terapeutico e un dormitorio che possa offrire speranza alle loro ospiti.
Il regista e sceneggiatore Louis-Julien Petit, sensibile e attento osservatore della realtà e delle ingiustizie che sono ormai radicate nel tessuto sociale, scrive e dirige un film toccante e gioioso che non cade mai nel patetico.
Il suo lavoro di ricerca è durato diversi anni dove egli è entrato in contatto con quelle donne invisibili agli occhi del mondo e ha raccolto le loro testimonianze.
E sono proprio le diverse voci e figure delle ospiti del piccolo centro di accoglienza che ci regalano una solarità e un’umanità disarmanti.
Sono Lady D. e Edith Piaf e Beyoncé e Salma Hayek (questi i nomi che si sono scelte per preservare il loro anonimato) a raccontarsi e impegnarsi nei più svariati lavoretti manuali. Sono tutte attrici non professioniste che hanno conosciuto realmente la difficoltà e le insidie della vita di strada.
Altrettanto superlative e coraggiose sono le donne che si impegnano perché questa piccola oasi felice possa essere una certezza per chi ne ha bisogno. Esse sono interpretata con passione e credibilità da 4 brave attrici: Audrey Lamy, Corinne Masiero, Déborah Lukumuena e Noémie Lvovsky.
Le invisibili del titolo sono dunque non soltanto le donne senza fissa dimora, ma sono anche quelle che lottano ogni giorno contro un sistema che non le permette loro di offrire un servizio e un tangibile aiuto alla comunità.
Ma se i temi trattati possano essere duri e difficili, ciò che emerge non è un senso di sconfitta o di desolazione, semmai una spinta verso l’alto, una gioia di vivere e di reinventarsi e di guardare con speranza al futuro.
Nessun miracolo o finale disneyano.
Il regista ha la stessa onestà di un Ken Loach e non vuole certo indorare la pillola.
I “perdenti” restano forse tali, ma a vincere sono quei valori che appartengono ancora a coloro che sanno cosa sia la cosa giusta da fare e si impegnano ogni giorno perché ciò sia possibile.