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LORO 1 & 2 (2018)

- 22/05/2018


L’immensa e audace opera filmica di Paolo Sorrentino ,servita in pasto al pubblico cinefilo più esigente, è composta di due succulente portate.
Distribuito in sala tra fine Aprile (LORO 1) e la prima metà di Maggio (LORO 2), è un piatto che conferma la sostanza e i limiti del regista napoletano.

Il primo titolo, giunto in tavola il 24 Aprile, ci offre in antipasto quei “Loro” che ruotano attorno all’universo di Berlusconi: piccole stelle della televisione e delle fiction più scadenti, faccendieri, imprenditori senza scrupoli e politici corrotti; un assaggio surgelato e acidulo sulla povertà di valori e di etica di questi giullari di corte che farebbero di tutto per avvicinarsi e vendere l’anima all’uomo dei sogni svenduti.
Si arriva quindi subito al piatto principale dove possiamo solo annusare e scorgere quel “Lui” che tutto smuove e tutto pare controllare. Ma quella che ci viene offerta è solo una superficie riflettente, un ecco di un desiderio che rimbalza all’infinito sulle vetrate di villa Certosa.
Una pausa di qualche settimana ci permette di digerire al meglio questi primi piatti che lasciano un po’ insoddisfatti ma di cui si apprezzano gli ingredienti ricercati e riconoscibili della ricetta filmica di Sorrentino in cui sotto la presentazione perfetta si evidenziano note speziate inaspettate, di satira e di dialoghi accattivanti.

Solo il 10 Maggio ci viene servita la seconda e più sostanziosa portata dove possiamo deliziarci (o disgustarci) della carne chirurgicamente trattata di quel “Lui” che tutti attendiamo di (ri)conoscere.
Ma a farne beffa di quel corpo messianico che risorge dalle sue stesse crocifissioni, non saranno certo gli avvoltoi che ruotano attorno a Villa Certosa, saranno invece le “sue” donne a maltrattarlo più degli altri: da quelle che considerava fedeli amiche a quelle giovani sirene che non si prestano al suo volere, fino alla sua Regina, la sua compagna di vita.

Il primo film si apre su di una scena quasi onirica in cui una pecora si addentra in una (QUELLA) villa.
Si guarda attorno e resta rapita da un quiz alla televisione.
Intanto un condizionatore d’aria getta aria fredda.
La temperatura si abbassa lentamente, di grado in grado.
La pecora continua a guardare la televisione.
Si raggiunge la temperatura zero quando l’animale cade a terra, morto stecchito.
Si sorride a denti stretti in sala.
Metafora della società moderna che “muore” davanti alla tv?

Dietro la fotografia patinata e geometrica di Luca Bigazzi, fedele collaboratore di Sorrentino dai tempi de “LE CONSEGUENZE DELL’AMORE” (2004), ci sono sempre delle parole non dette e delle allegorie più o meno identificabili e rivelatrici.
Ma come in ogni pellicola di Sorrentino, in questo gioco forzato all’apparenza che vuole celare sostanza, il regista finisce col bearsi di una luce (sempre la stessa) che si muove sui corpi statuari di ragazze nude e nelle stanze dagli arredi impeccabili ma impersonali.

Fin da subito Sorrentino ci tiene a precisare che il suo film è un’opera di finzione, che da eventi e personaggi che hanno fatto la storia della nostra povera Italia prende spunto per riflettere su altro.
E in effetti lungo la trama non mancano inserimenti di personaggi fittizi o caricaturali,che non sono necessariamente riconducibili a persone reali; così come certe situazioni sono frutto della fantasia dell’autore.
Ma è innegabile che tutto il progetto scavi sotto quella superficie scomoda e plastificata.

Ciò avviene sopratutto nel corso del secondo film dove Silvio si confronta con Ennio, imprenditore che ha visto l’ascesa di Berlusconi e poi con Sergio Morra e con quegli “amici” che gli voltaeranno le spalle.
E quando Sivio si trova a “trattare” con una ragazzina desiderosa di lavorare nel mondo del cinema ma che non accetta le regole del gioco e poi nello scontro/interrogatorio della moglie Veronica, raggiungiamo uno dei migliori momenti del cinema sorrentiniano.

Lo sguardo cinico e beffardo del cineasta ( che ricordiamo ha ridefinito anche il genere dei serial con il suo “THE YOUNG POPE” ) sembra non infierire più di tanto sulla figura del politico quanto piuttosto su quei “loro” del titolo e su quei “noi”, spettatori di un talk show che è sempre lo stesso da anni.
Esemplare è la lunga sequenza che vede Silvio divertirsi a chiamare una signora qualunque, pescata sull’elenco telefonico, fingendo di venderle un appartamento: in quella telefonata “Lui” parla direttamente a quei “Noi” che si sono fatti abbindolare, che hanno ceduto a quelle lusinghe e che hanno creduto a quei sogni preconfezionati che sono destinati a crollare dalle fondamenta come le abitazioni di Aquila, colpita dal terremoto; doni non necessari – o di facciata – come quella dentiera che replica quel sorriso teatrale che “Lui” ci ha regalato, distraendoci come un prestigiatore.

Un film affascinante eppure non perfetto dove a brillare è soltanto il compiaciuto Toni Servillo, elemento fondamentale per la riuscita della ricetta confezionata da Sorrentino : la sua performance di primo attore è perfetta e inattaccabile e ci intrattiene con monologhi accattivanti e geniali, contornati da un’espressività e un carisma difficilmente riscontrabili nel panorama attoriale italiano.
Tutti gli altri attori che si alternano sul palcoscenico di questa “grande bellezza” sono tutti nella parte senza però mai spiccare per incisività o intensità. Ci prova la provocante Smutniak o il sognatore Scamarcio, si distinguono la Bonaiuto e l’efficiente Cantarelli, così come un’ispirata e insolita Elena Sofia Ricci; ma nessuno riesce a rubare la scena al “Lui” di Servillo.

Lodevole il risultato finale ma senza lode.
Per quanto gustoso e sopra la media, il “pasto nudo” offertoci da Sorrentino lascia comunque inappagati, come del resto lo siamo tutti: Noi, Loro, gli Italiani.

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Ossessionato dal trovare delle costanti nelle incostanze degli intenti di noi esseri umani, quando non mi trovo a contemplare le stelle, mi piace perdermi dentro a un film o a una canzone.

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