L’UOMO NEL BUIO (2021) sequel dell’ottimo MAN IN THE DARK (2016) torna sulle tracce del veterano di guerra Norman Nordstrom. Qui però, la sua cieca violenza trova una ragione di essere: proteggere una ragazzina.
Trama _ Ritroviamo Norman Nordstrom che insegna a una ragazzina come sopravvivere alla violenza di una sporca e crudele Detroit. Presto però la ragazzina diventerà bersaglio di un gruppo di uomini pronti a tutto per averla. Inizia così un gioco tra gatto e topo, dove Norman sarà pronto a tutto pur di difendere il suoi affetti.
Nel 2016, per la regia di Fede Alvarez (che più hanno conosciuto col remake de LA CASA di Raimi) arrivava nelle sale italiane MAN IN THE DARK (che negli States si intitolava DON’T BREATHE). Sorvolo sulla scelta di intitolare questo sequel L’UOMO NEL BUIO- MAN IN THE DARK.
Le leggi di distribuzione italiane e questo insensato modo di cambiare titoli, sono ancora cose che la mia ragione non riesce a comprendere. Ma sorvoliamo.
Il primo capitolo è stato certamente un piccolo cult nel suo genere, con un ottimo montaggio e un altrettanto ottimo villain. Tre teppistelli si intrufolavano nella casa di un ex marine, con l’intenzione di rubargli la sua fortuna. Peccato che Norman (un solido, granitico e credibile Stephen Lang)è il classico esempio di chi, dalla guerra, è tornato cambiato, ha perso la vista, ma anche la propria umanità. Sadico, ostile e instabile, Norman un uomo addestrato per uccidere e, seppure cieco, capace di muoversi con grande abilità e altrettanto abile e determinato nel punire chiunque. La caccia, tanto cara al genere home invasion, tra le mura domestiche rivelava però qualcosa di più inquietante. Nella cantina ecco una ragazza incatenata al muro che Norman inseminava artificialmente perché restasse incinta e le ridonasse la figlia che la donna aveva investito con l’auto. Shock! Un lutto non elaborato che sconfinava in soluzioni terribili e aggiungeva orrore in una trama già di per sé tesa in molte scene.
Questo secondo capitolo ribalta le premesse e vediamo Norman assoluto protagonista e questo in qualche modo ci spinge a empatizzare con lui. Da qui l’idea – non propriamente solida – di porci davanti a una verità come assodata: talvolta esistono delle persone più cattive di altre. Ma anche l’ambigua morale di fondo che serpeggia per buona parte del film e che si evidenzia ancora di più sul quasi toccante finale: può un’azione buona e altruista cancellare tutti nostri peccati? o redimere un’anima nera che ha commesso le azioni più atroci? A voi l’ardua sentenza.
La scarna sceneggiatura e la bidimensionalità dei personaggi secondari non aiuta in tal senso. E i piani diabolici dei cattivi di questo L’UOMO NEL BUIO sono davvero aberranti e assurdi, che a ragione il nostro Norman diventa un angelo sterminatore.
La regia di Rodo Sayagues (che nel primo capitolo era solo sceneggiatore) e il passaggio in produzione di Alvarez, non ha cambiato l’aria malsana e la tensione, sebbene la paura del primo film è praticamente svanita.
Qui montaggio e messinscena sono al servizio delle capacità quasi sovrumane del nostro antieroe di sapersi destreggiare in ambienti ostili o a lui estranei adattandosi ai rumori e al rimbalzare del suono sulle superfici (spesso viene usato l’elemento dell’acqua). Ma alla lunga il gioco stanca e non bastano due salti sulla poltrona o qualche scena sfacciatamente violenta a salvare il progetto da una certa noia che era completamente assente nel primo film.
I cani si salvano sempre. La ragazzina chiaramente si salverà, così che tutti possano poi tornare a casa col sorriso per un film che finisce bene. E il nostro Norman, pluriomicida, sequestratore, sociopatico e che trae piacere nel torturare la gente, alla fine ha pure un animo gentile. Cosa chiedere di più?
Forse un pizzico di coerenza avrebbe giovato. Passi la tediosa redenzione di certi villain in casa Disney, ma da un film del genere ci si aspetta altro.
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