MARTIN EDEN è una sorprendente luce capace di infondere in chi guarda tutta una gamma di colori e di emozioni che necessitano di esplodere in un pianto che è catartico e salvifico. Un’opera importante e stratificata che guarda all’Italia di ieri e di oggi.
Martin Eden è un marinaio di Napoli curioso e affamato di vita.
Per aver soccorso un ragazzo da un pestaggio, Martin viene accolto con riconoscenza dalla famiglia Orsini e qui egli si innamora perdutamente della loro figlia, Elena.
La volontà di essere degno della ragazza spinge Martin ad “impararsi” (dice lui, fermo alla licenza elementare) e inizia a leggere da solo tutto ciò che può, facendo proprio tutto quello che la sua splendida mente riesce a immagazzinare.
Da qui prende corpo il suo desiderio più profondo: la scrittura.
Ma tutte le sue poesie e racconti vengono continuamente rifiutati dalle redazioni perché incapaci di apprezzare e comprendere il suo stile così nuovo e diverso.
Intanto anche il rapporto con Elena si fa sempre più complicato non avendo lui una posizione e un lavoro.
Pietro Marcello si ispira all’omonimo romanzo del 1909 di Jack London per il suo personalissimo MARTIN EDEN.
Presentato in concorso alla 76° Mostra internazionale dell’arte cinematografica di Venezia, ha visto premiare il suo protagonista Luca Marinelli con la Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile.
Ci sono film che nella loro compiutezza riescono a toccare profondamente corde dell’animo umano.
MARTIN EDEN è sicuramente uno di questi. Ed è una gioia immensa per me recensirlo, nella speranza possa farvi sentire quello che io ho provato nel vederlo e viverlo.
La storia, in buona parte autobiografica, del giovane marinaio che si reinventa scrittore, che da umili origini diventa una delle voci più interessanti e apprezzate da critica e pubblico ha tutto l’ardore dei grandi romanzi di formazione dove il riscatto sociale e umano appassionano e impressionano il lettore. Ma sarebbe un errore guardare a questo film con ingenuità, giacché immagini e musiche e parole sono intrise anche di note amare sospese tra cinismo e disincanto.
Il regista riesce a trasportare l’azione da Oackland per immergerla nel tessuto socio culturale e politico della nostra Italia, più precisamente in una Napoli che diventa emblema di una società immobile, incapace di affrontare i necessari cambiamenti che di lì a poco avrebbero investito la nostra nazione (cosa che per altro accade anche oggi -adesso – mentre scrivo); una società che preferisce crogiolarsi nella paura e nella menzogna e che teme e rifugge tutto ciò che è diverso e nuovo.
In questo quadro così realistico, quasi tangibile, il lavoro fatto sulla fotografia è qualcosa di davvero straordinario.
I colori sono corposi, sabbiosi, densi e le immagini girate si abbracciano e si fondono e si alternano perfettamente con filmati di archivio, avviando così un dialogo, una ballata preziosa e nostalgica tra passato e presente (e quindi futuro).
Il tutto è sublimato poi da una colonna sonora quasi mai invadente, ma che ora leggera e ora incisiva riesce a smuovere qualcosa nello spettatore “dormiente” e per farlo anche qui il regista azzarda e mescola Debussy a Teresa De Sio, evidenziando ancora una volta questo corteggiarsi e scontrarsi tra ieri e oggi.
A valorizzare il tutto vi è poi un cast che tra comprimari e non protagonisti ci regala performance attoriali notevoli e credibili.
Dal teatrale Carlo Cecchi nei panni di Russ Brinssenden alla naturalmente meravigliosa Carmen Pomella; da una remissiva e sofferta Autilia Ranieri al misurato Marco Leonardi.
Unica nota stonata è forse la scelta per l’oggetto del desiderio del protagonista: Jessica Cressy, seppure di una bellezza tanto algida quanto fragile, non sempre è all’altezza del suo ruolo e manca di quelle sfumature necessarie che avrebbero delineato con maggiore intensità un personaggio che è complesso, ma ben scritto.
Viscerale, genuina, fisica, impetuosa, disarmante è invece l’interpretazione di Luca Marinelli.
Il suo Martin Eden è un personaggio che difficilmente saprete dimenticare. Marinelli (di cui vi consiglio di recuperare “PADRE D’ITALIA”) trova in sé le giuste colorazioni espressive perché ci riporti con autenticità la grandiosità di un (anti)eroe mai così reale.
Se nella seconda parte del film la sua interpretazione si fa più recitata, manieristica, è impossibile non essere affini alla sua anima così piena di slanci verso il mondo e verso l’amore e verso la conoscenza. Luca Marinelli affronta questo ruolo con maturità, ma guardando anche ad una semplicità e ad una dolcezza che appartiene solo ai fanciulli e alle giovani menti che non sono mai sazie della vita.
Il suo Martin Eden vive nel paradosso di essere nato e di morire come un diverso, come un’anomalia, perché anche quando il mondo lo riconoscerà per il suo talento, anche quando la sua Elena si dichiarerà, sarà troppo tardi. Martin sarà ancora una volta distante e incompreso, perso nei suoi lucidi deliri, nelle sue ferite, nelle sue mancanze, e sarà costretto a partire, a lasciare, ad abbracciare i segreti del mare.
MARTIN EDEN è quindi un inno alla vita, alla poesia, alla scrittura, alla cultura in generale. È il manifesto di un cambiamento che da intimo e privato si fa condiviso e pubblico perché non ci si areni mai nelle difficoltà che la nostra nascita o la nostra società ci oppone come ostacoli. È un messaggio di speranza e assieme di conferma che il cinema italiano è ancora vivo e glorioso, come ieri così oggi e lo sarà domani.
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