MIDSOMMAR trascende il genere horror, illuminandone pregi e difetti, ma elevandosi oltre le banalità di una serie di film da gustarsi distrattamente tra pop corn e coca cola. Questo film è un’implacabile immersione in noi stessi.
Un tragico lutto piomba sulle vite di una giovane coppia americana.
Dani e Christian trascinano da tempo il loro rapporto, ma lei ha necessità di un punto di riferimento e lui, mosso più da pietà, non ha il coraggio di lasciarla.
Partono assieme alla scoperta delle tradizioni di un villaggio svedese, un viaggio di studio e di svago con un gruppo di amici.
Iniziano gli abituali festeggiamenti del Midsommar e con esso l’orrore.
Solo un anno fa Ari Aster ci aveva sconvolto con uno degli horror più originali e crudeli degli ultimi anni, HEREDITARY.
In esso l’elemento soprannaturale e il male si insinuavano e mettevano radici all’interno di un nucleo familiare, rivelandone ipocrisie e ferite mai rimarginate che ne facevano marcire le sue carni dall’interno.
Reduce e forse rassicurato da quel successo, il regista americano si è sentito libero di proseguire nella sua personale scrittura e nella sua originale visione di un racconto metaforico che sovverte le regole del genere stesso.
Dopo una notte delle più nere, MIDSOMMAR ci immerge nella luce più rassicurante e più invadente. Una luce (quella del sole) che non ci abbandonerà mai e che non ci permette di riposare o di riuscire a digerire e immagazzinare tutto quanto saremo costretti a vedere.
Una luce che evidenzia ancora una volta tutte le ipocrisie e le meschinità e le catene sociali che legano e soffocano due o più persone.
In particolare qui la nostra attenzione si concentra su quello che è il rapporto di coppia e la dipendenza reciproca e malsana che unisce (e quindi divide) due persone.
La protagonista (una bravissima Florence Pugh) è colei che ci accompagna in questo trip tanto crudele quanto necessario.
Ella è la sola dopotutto che pare essere destinata a poter comprendere e accettare le regole vigenti nella piccola comunità che li ospita.
Gli altri, a partire dal suo cinico fidanzato Christian (un piacevole Jack Reynor), sono tutti incapaci di una reale connessione umana e di anime, troppo presi da loro stessi o dal giungere a uno scopo personale (che sia divertimento fine a se stesso o una tesina di laurea).
Dani è invece un vaso ormai svuotato, una mente aperta, un cuore dilaniato, una che non ha i mezzi per comprendere e catalogare tutto quanto sarà costretta a vedere; ella potrà soltanto vivere e sentire e ingerire la realtà che la circonda; ella dovrà danzare fino allo stremo delle sue forze e gridare e piangere e gridare ancora perché possa realmente dare una forma e un colore al dolore e alla paura che non le permettono di vivere, ma solo di sopravvivere.
Intorno a lei Ari Aster disegna un quadro di rara bellezza.
La splendida fotografia e un montaggio lento ma inesorabile guardano a questa comunità e a una Natura che diventa via via sempre più inquietante e le cui leggi possono essere crudeli, ma che hanno una propria identità e necessità.
MIDSOMMAR è uno di quei film che o lo si ama o lo si odia (non a caso sta dividendo in maniera netta critica e pubblico) perché dai tempi dilatati all’assenza di furbi quanto inutili jump scare; dalla caratterizzazione dei personaggi alle trovate via via sempre più intollerabili; questo gioiello è una pietra che non tutti sono capaci di portare.
Come una collana tanto vistosa quanto improbabile (per le mode e i dettami di ciò che consideriamo bello o normale) questo film si stringe lentamente attorno a noi fino a soffocarci, fino a stranirci.
E come avvenne già nel suo film precedente, Ari Aster nel finale sconfina oltre quei limiti rassicuranti, mostrandoci immagini e situazioni che sono così assurde che possono solo imbarazzarci o colpirci o farci ridere.
Ma quella risata nel buio e nel silenzio di una sala cinematografica stona esattamente quanto le immagini che vediamo scorrere sullo schermo. Ci facciamo beffa di qualcosa che non consideriamo normale; ridiamo per liberarci di uno stato di angoscia che deve trovare una via di fuga; ridiamo allo stesso modo di una battuta che in realtà ci ha soltanto feriti e ci ha spogliati e derisi. Ridiamo. Ridiamo di noi stessi.
Perché MIDSOMMAR non ha il fine di spaventare, ma solo di turbare le nostre rassicuranti esistenze, di tracciare i difetti della nostra persona e evidenziare le parti che sono da cambiare come farebbe un chirurgo estetico sottolineando le zone su cui andrà a operare.
Questo film non è per tutti, ma è di tutti noi.
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