ROMA è un’opera matura ed elegante del regista messicano
Cuarón. Disponibile su Netflix.
Messico, 1970.
È un momento storico di grande instabilità sul piano economico-politico.
In un quartiere di Mexico City – la Roma del titolo – ecco la vita della giovane tuttofare Cleo.
La ragazza, india di origine, è domestica presso una famiglia spagnola benestante.
Ella guarda al suo futuro con preoccupazione, ma con devozione e amore si prende cura di ogni aspetto della vita dei suoi “padroni”.
ROMA si apre e si chiude sulla ripresa di un aereo che passa.
Nei titoli di testa la telecamera resta fissa su di un pavimento che di lì a poco verrà lavato. Nella splendida sequenza vediamo quell’aereo solo nel riflesso dell’acqua che scorre su quel pavimento.
In quei pochi minuti è racchiusa l’idea del sogno irraggiungibile, ma anche la metafora di un popolo destinato a migrare perché possa ritrovare una propria dignità.
Dopo 17 anni dal suo film “Y Tu Mamá También” (clicca QUI per leggere la recensione) Alfonso Cuarón torna a raccontare della sua terra, il Messico.
In un malinconico bianco e nero il regista scrive e dirige una lettera d’amore verso quelle figure che hanno cresciuto i figli della borghesia, guardando alla sua infanzia e al suo vissuto.
Ma è anche il suo film più politico.
La telecamera segue con doveroso rispetto la figura di Cleo che entra ed esce dalle stanze: lei è il motore silente di questa famiglia in rotta di collisione (come lo è il popolo messicano) che tutto guarda senza però giudicare.
E intanto la Storia accade fuori da quelle 4 mura: terremoti e incendi e sommosse e sparatorie e vittime.
Le donne del film sono tutte meravigliose, complesse, sofferte, ma resilienti. Sono loro a preservare il senso di famiglia e di umanità. A esse si contrappongono le figure di uomini incapaci di mantenere la parola data e che preferiscono sparire, portandosi via con sé tutto quanto possono prendere.
Il regista messicano riesce nel non facile compito di scrivere una storia che dal particolare guarda a noi tutti.
C’è un’emergenza e uno splendido messaggio nella parte finale del film: un abbraccio che unisce generazioni e ceti sociali diversi.
Un abbraccio che sembra sancire un patto silenzioso di riconoscenza reciproca verso due popoli/classi/età che devono necessariamente collaborare perché le avversità non li trascinino alla deriva.
L’interpretazione della giovane non-attrice Yalitza Aparicio colpisce per la sua naturalezza e sincerità. Nessuna emozione che scaturisce dalla visione del film viene indotta furbamente dall’utilizzo della colonna sonora (essenziale e quasi assente) o da “imbrogli” di sceneggiatura.
Ogni stato d’animo viene descritto e ci viene riportato per quello che è.
La regia perfetta non prevarica mai il racconto, lo impreziosisce senza snaturarlo.
Tutto è così magnificamente umano che ci sorprende di guardare alla bellezza di una vita come tante. E per questo altrettanto preziosa e importante.