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STO PENSANDO DI FINIRLA QUI _ Rimpiangere di non aver vissuto (recensione)

- 25/09/2020
STO PENSANDO DI FINIRLA QUI (2020) di Charlie Kaufman


Disponibile su Netflix, STO PENSANDO DI FINIRLA QUI è una delle opere più complesse e originali su cui potreste inciampare e non fare più ritorno. Un’esperienza unica che solletica e mette alla prova l’attenzione dello spettatore.

Lucy viene invitata dal proprio ragazzo a conoscere i genitori di lui che vivono in una fattoria isolata. Durante il viaggio la ragazza è persa tra i suoi pensieri ed è intenzionata a “farla finita”. Nonostante l’ospitalità dei due genitori del ragazzo la serata prenderà una piega via via sempre più inquietante, mettendo a dura prova la stabilità emotiva della ragazza.

Charlie Kaufman (sua la sceneggiatura dello splendido ETERNAL SUNSHINE OF THE SPOTLESS MIND) pare trovarsi a suo agio nei labirinti della mente e decide di adattare per lo schermo l’omonimo romanzo di Iain Reid.

Siamo invitati a prendere posto in questo viaggio attraverso il personaggio di Lucy (o dovremmo chiamarla Lucia? O Louisa?), interpretata magnificamente da una sorprendente Jessie Buckley.
La ragazza in più occasioni, nel suo flusso di coscienza, ripeterà a se stessa (e a noi) che sta pensando di farla finita. Ma più volte ci domanderemo se ella si riferisce alla sua relazione o alla sua vita.

Nella foto da destra: Jesse Plemons, Jessie Buckley, Toni Collette e David Thwlis.

Giunta nella casa dei genitori (un’immensa Toni Collette e un bravo David Thewlis) di quel ragazzo che ora pare conoscere così bene e poi sembra essere un estraneo (un misurato ma altrettanto ottimo Jesse Plemons), le poche certezze della giovane donna vacillano davanti a inspiegabili avvenimenti e…

Ed è qui che il film inizia a far vacillare anche le nostre certezze su quello che stiamo vedendo. Mi piacerebbe addentrarmi nello specifico, ma sarebbe complicato riportare nel dettaglio ogni cosa che viene a modificarsi sotto i nostri stessi occhi. Identità, tempi, luoghi, ruoli, percezione dell’altro, significato, ogni cosa viene a mutare. Cambiano le prospettive e le molteplici direzioni del racconto. A complicare il tutto ci sono poi inframezzi che guardano alla vita di un bidello che non ha nessuna connessione apparente con quanto stiamo andando a vedere.

STO PENSANDO DI FINIRLA QUI è uno di quei film che ha molteplici livelli di lettura e il suo impianto narrativo, contaminato da altrettanti molteplici generi cinematografici (dal dramma si passa alla tensione del thriller, dal musical fino al cinema di animazione), costringe lo spettatore a restare concentrato per tutta la sua durata in cerca di quelle risposte che sono le stesse di sempre. Risposte a domande importanti sul senso del nostro vivere, del nostro amare, del nostro condividere, del nostro guardare l’altro e noi stessi, del nostro crescere, invecchiare, morire.

La spiegazione del film di Kaufman

Difficile trovare un senso univoco a questa magnifica opera che necessita certamente più di una visione. Sarebbe opportuno guardare invece ai tanti significati che essa custodisce. Ma è anche opportuno offrire una chiave di lettura che possa mettere ordine laddove in apparenza regna il caos più totale.

ATTENZIONE: quanto segue contiene spoiler!

Se apparentemente la protagonista del film è la giovane donna il cui nome ora è Lucy poi Lucia e poi Louisa, col passare del tempo scopriremo essere invece il suo fidanzato Jack che altri non è se non il bidello della scuola che ritroveremo nella parte finale del film.

STO PENSANDO DI FINIRLA QUI procede quasi a ritroso nel tempo, o sarebbe meglio dire che cerca di tornare a un luogo fisico (la scuola) per raggiungere un luogo mentale (l’infanzia e la giovinezza) per ricercare le ragioni e i primi semi di un malessere che logora fatti e ricordi, una melanconia di un non vissuto che fa marcire dal suo interno il protagonista (il maiale divorato dai vermi che vedremo sotto forma di animazione è metafora della condizione esistenziale di Jack).

Molto più chiaro nel libro è la rivelazione che di fatto Jake non ebbe mai il coraggio di parlare con quella ragazza (Lucy) conosciuta in un bar. Lucy/Lucia/Louisa è quindi una proiezione, un desiderio, un rimorso che il protagonista plasma a suo piacimento, donandole tutta una serie di sfumature che sono anche le sue (vedi ad esempio la scena in cui la ragazza scende nella cantina – che rappresenta qui una sorta di subconscio – dove ella scopre che quelle che sono le sue qualità e passioni, come la pittura, appartengono a Jake. La firma sui dipinti è quella di Jake, non la sua. E così anche la scena in cui ella si vede fotografata da bambina tra le foto di famiglia di Jake.)

Ormai vecchio e triste e carico di rimpianti, Jake si trascina pesantemente tra un divano da cui guarda storie d’amore a lieto fine e un lavoro che è sempre lo stesso (in quel luogo della giovinezza, delle scelte importanti, delle possibilità che si è negato) e da cui può solo scappare attraverso l’astrazione, attraverso i sogni a occhi aperti (le splendide sequenze in cui irrompe la magia del musical) , grazie alla morte, forse.

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Ossessionato dal trovare delle costanti nelle incostanze degli intenti di noi esseri umani, quando non mi trovo a contemplare le stelle, mi piace perdermi dentro a un film o a una canzone.

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