SUSPIRIA di Luca Guadagnino guarda all’originale di Dario Argento per costruire un oggetto sinistro e personale.
Berlino, 1977.
Susie Bannion arriva dall’America nella prestigiosa scuola di danza Helena Markos.
Da subito si distingue per le sue capacità e attira su di sé le attenzioni della coreografa Madame Blanc.
Tra le due donne nasce un’intesa e una complicità che va oltre il loro ruolo di insegnante e allieva.
Intanto però qualcosa di malvagio si aggira per i corridoi e le stanze.
Un anziano psicoterapeuta, dopo la sparizione di una sua paziente (anch’essa ballerina) indaga sui misteri della scuola.
Ci sono capolavori che non dovrebbero essere mai toccati.
SUSPIRIA (1977) di Dario Argento è di fatto uno di quei titoli.
Quando lessi che avevano intenzione di farne un remake rimasi altamente contrariato. La cosa non migliorò quando seppi che lo avrebbe diretto Luca Guadagnino.
Eppure nei suoi morbosi e confusi e snervanti 152 minuti – divisi in sei capitoli e un epilogo – non solo Guadagnino omaggia il Maestro dell’orrore made in Italy, ma guarda anche al cinema di Lars Von Trier e di Fassbinder.
Del film originale ne conserva forse più il sentimento che pervade la storia, il demone sotto pelle.
Luca Guadagnino da ragazzino rimase affascinato e sconvolto dal poster e poi dal film SUSPIRIA di Dario Argento.
Un’ossessione covata 40 anni che trova oggi una propria identità.
La scuola di danza, la ragazza venuta dall’estero, le streghe: sono solo questi gli elementi che Guadagnino conserva della sceneggiatura originale di Argento e di Daria Nicolodi.
Da essi parte per raccontare e riflettere su altre tematiche.
Non è un caso che egli decida di spostare l’azione a un periodo storico fatto di tumulti e di violenze: la scuola di danza sorge proprio davanti al muro di Berlino. Quello che avverrà all’interno di essa non è altro che il riflesso di quanto sta accadendo nelle strade della città.
Ebbene sì, SUSPIRIA 2018 guarda anche ai mostri dell’Olocausto e agli orrori che i figli della Madre/Patria hanno commesso in suo nome o contro di essa.
La figura della giovane Susie (una discontinua Dakota Johnson) è molto distante dall’innocenza e l’ingenuità della protagonista del film di Dario Argento: ella fin da subito pare entrare in connessione con il male che impregna le mura e il sottosuolo della vecchia scuola.
Fin da subito abbraccia lo sguardo della coreografa Blanc (una monumentaria Tilda Swinton) e tra loro si crea un legame viscerale madre/figlia.
Attorno a loro si muovono e danzano e tramano le altre donne, le altre madri e le altre allieve. Ora pedine, ora complici, ora traditrici, le donne di SUSPIRIA sono tutte vibranti e meravigliose: Mia Goth, Chloe Grace Moretz, Angela Winkler, Renée Soutendijk.
Le atmosfere, le scenografie, i movimenti della camera fanno da cassa di risonanza a un’ipnotica colonna sonora firmata da Thom Yorke.
È evidente che questo film possa non soddisfare gli appetiti malsani degli amanti del genere horror più “puro”.
Jump scare praticamente assenti, la paura è un odore che si mescola al sudore; è un suono costante che rimbalza sugli specchi delle sale prove; sono immagini disturbanti che popolano gli incubi delle giovani ballerine.
L’orrore però quando arriva non lascia vie di fuga e si mostra in tutta la sua brutalità (i due momenti coreografici fanno da contraltare a due terribili “esecuzioni”), fino al gran finale dove cadono maschere e decenza.
Questa danza di morte che guarda al rapporto castrante delle madri sulle figlie e di come queste ultime debbano necessariamente rivoltarsi contro di esse per sopravvivere e affermare la propria esistenza; questa diventa una preghiera e un rito perché le colpe di cui ci si è macchiati non vengano mai dimenticate.
A questo Luca Guadagnino contrappone una nota tanto dolce quanto stonata.
Forse una forzatura che stride e che appesantisce il tutto, un passo silenzioso, incerto eppure potente.
La parentesi amorosa che vede protagonista l’anziano psicoterapeuta che ha smarrito la sua amata ( sorprendete cameo di Jessica Harper, protagonista del primo SUSPIRIA).
Un ricordo e un’ossessione altrettanto prepotente che non lascia dormire la notte.
Una ferita aperta che non svanisce negli anni, come quel cuore inciso su dura pietra.
Solo l’amore può salvarci, sembra suggerire il regista.
Oltre la guerra. Oltre la morte. Oltre la colpa. Oltre la vergogna.
Solo l’amore. Forse.