2.534 views 5 min 0 Comment

THE BOYS IN THE BAND _ Ieri e Oggi, com’eravamo e come siamo (recensione)

- 02/10/2020
THE BOYS IN THE BAND (2020)


THE BOYS IN THE BAND, sbarcato su Netflix il 30 Settembre scorso, è un’istantanea di un’epoca (siamo nel 1968) e delle vite di un gruppo di amici omosessuali. Un’opera che guarda al passato, ma che inevitabilmente ci obbliga a chiederci chi siamo oggi.

Per il compleanno di Harold un gruppo di amici si ritrovano a casa di Michael. Un ospite inatteso e un sadico gioco obbligherà i presenti a confrontarsi con le proprie fragilità e scomode verità.

THE BOYS IN THE BAND è stato prima di tutto un dramma teatrale andata in scena nel 1968 e firmato da Mart Crowley. Il titolo riprende una frase rivolta da James Mason a Judy Garland nel film È NATA UNA STELLA You’re singing for you and the boys in the band“.
Solo un anno più tardi Judy Garland sarebbe morta e allo Stonewall sarebbe esplosa una rivolta che avrebbe dato il via al movimento LGBT.

È importante partire da qui per comprendere appieno il senso e il potere di questo film.

Nella foto: Jim Parsons e MAtt Boomer in una scena tratta da THE BOYS IN THE BAND (2020)

In verità questo THE BOYS IN THE BAND potremmo considerarlo un remake, giacché nel 1970, per la regia di William Friedkin, l’opera teatrale venne proposta al cinema, distribuito in Italia col titolo FESTA PER IL COMPLEANNO DEL CARO AMICO HAROLD. Fu certamente un momento importante per il cinema hollywoodiano che si confrontava con una realtà fino ad allora sempre ignorata o raccontata parzialmente.

Allora perché è importante questo remake?
Supportato da un cast di attori tutti dichiaratamente omosessuali (tra cui spiccano i volti di Jim Parsons, Matt Boomer, Zachary Quinto e Charlie Carver) e prodotto da quel piccolo genio del marketing che è Ryan Murphy (sue le serie tra le più cliccate e di successo come POSE, AHS, HOLLYWOOD e la più recente RATCHED; si cimenta alla regia di questo cult il regista e attore teatrale Joe Montello.

Nella foto: Robin de Jesus, Michael Benjamin Washington e Andrew Rannells

Per il giovane pubblico molti dei comportamenti dei protagonisti di questo THE BOYS IN THE BAND potrebbero risultare quasi inverosimili e d’istinto io per primo ho avuto quasi antipatia per buona parte di essi.
Ma è opportuno ricordarsi del contesto storico e sociale in cui la storia è inserita.

Di fatto gli amici del film sembrano costantemente scagliarsi l’uno contro l’altro (quando non sono impegnati a piangersi addosso), mossi da sentimenti come invidia e risentimento e rancore e odio (verso se stessi). In molte delle loro azioni e parole poi si avverte (quando non è proprio palese) un’omofobia interiorizzata che era parte integrante della maggior parte delle persone omosessuali di quel periodo. Questo perché famiglia e società guardava con disprezzo allo stile di vita dei “diversi”.

Nel complesso non si può che lodare la regia e la ricercatezza delle scenografie così come dei costumi e una buona selezione di brani musicali che ci fanno assaporare le vibrazioni di quel periodo.

Resta però da chiedersi perché un’operazione del genere.
Per le nuove generazioni, avvicinarsi a questo film, equivale a vedere delle polaroid della giovinezza dei loro genitori: per quanto questi possano raccontare del loro passato è qualcosa che sfuggirà e che non può essere compreso pienamente dai propri figli.

E come figli disattenti è probabile che molti di noi siano portati a fare gli stessi errori dei protagonisti di questo THE BOYS IN THE BAND giacché, per quanto si siano fatti tanti passi avanti, spesso viene a mancare quel senso di comunità che ci vedrebbe uniti e più forti.
Ci si nasconde puntando il dito verso il prossimo per distogliere l’attenzione dalle nostre ferite e le nostre fragilità eppure, come dice il protagonista del film sulla fine
Se riuscissimo a imparare a non odiare noi stessi in modo così implacabile
forse ci sentiremmo meno arrabbiati (con noi stessi e con gli altri) e forse ci sentiremmo meno soli.

[rwp-review id=”0″]

<hr>Condividi:
- Published posts: 516

Ossessionato dal trovare delle costanti nelle incostanze degli intenti di noi esseri umani, quando non mi trovo a contemplare le stelle, mi piace perdermi dentro a un film o a una canzone.

Facebook